venerdì 7 novembre 2014

Marco, lo vedi quel signore alto?

Marco lo vedi quel signore alto?
Adesso tuo padre ti racconta una storia, che poi non è una storia..

Per chi come me era troppo piccolo per ricordarsi, lui, loro erano una specie di leggenda. Giganti che erano riusciti a fare l'inimmaginabile. Avevano dimostrato in maniera inconfutabile l'esistenza del divino e dell'imponderabile nel calcio moderno. Noi piccoli vedevamo i nostri adulti con gli occhi spiritati parlarne, agitarsi,  come se avessero vissuto una visione collettiva. Io bambino vedevo quegli uomini grandi, con quelle voci grosse e le mani enormi raccontare con la voce estatica che si, era tutto realmente accaduto.

Era successo davvero. Davvero. Ci urlavano pastori e banditi. Ma poi, alla fine della partita, a urlare eravamo noi. Il pastore ti ha coddato, contento sei? (quest'ultima frase magari a mamma non dirla)

Marco allora internet non c'era, e queste cose le leggevamo nelle ingiallite pagine dei quotidiani che qualcuno aveva conservato da allora. Era tutto vero. Eravamo stati noi, minca se eravano stati noi! 
Anche noi avevamo avuto i nostri giganti imbattibili. Che avevano vinto a Milano e a Torino, a Roma e a Napoli. Si dappertutto Marco, anche a Inter. 

Avevamo anche avuto (incredibile a dirsi) il capocannoniere. E non una volta, ma ben tre volte. E non era un estroso brasiliano o un monumentale nordico dal cognome slavo.
Macchè, era uno che veniva dalla provincia di Varese, con la faccia più sarda che tu ti potresti immaginare. Sopracciglia e muso un po' sporgenti. Silenzioso da poter apparire muto. Ma non era muto, semplicemente parlava quando aveva qualcosa da dire. Non come adesso, no.

E non ti dirò di quella volta che disse di no a Boniperti  e a 2 miliardi di lire di allora (cifra difficilmente calcolabile, siamo intorno al 1972). Non dirò che è ancora oggi il capocannoniere della nazionale italiana. Non dirò che è inconfutabilmente il più forte centravanti italiano di sempre. Quello che dirò, invece, è quello che è stato dopo.

Ti dirò, figlio mio, di come era strano quando ti tocca vivere con quel signore altro, con quella leggenda che passeggia nel tuo quartiere, e che saluti timidamente ma con confidenza.
Ti dirò che è stato un uomo verticale, nel senso che non si è piegato alle mode del momento.
Ti dirò che era destra, ma senza essere fascista o peggio berlusconiano.
Ti dirò che è un cittadino di Cagliari come gli altri, ma senza gli eccessi gossipari che oggi sono la norma nel mondo dei crestati tatuatisssssimi.  
Ti dirò che non era come quelli che si gettano in terra tarantolati per una spinta, e che quando ti dico "No ti ghettas in terra, gioga!"  è perché la mia educazione allo sport che voglio sia la tua deve essere incentrata innanzitutto sulla lealtà, di cui le persone come lui sono l'esempio palese.

Perché vedi Marco quel signore alto avrebbe potuto guadagnare di più, forse vincere di più. Ma ha preferito rimanere se stesso nella sua unicità e non uno tra i tanti. E che con questo modo di fare abbia dimostrato si può essere felici anche così.  

Lo so Marco, tu oggi sei imbottito di Sky e  del mondo del pallone di oggi dove o sei un "top player" (ma che stronzata) oppure niente. Però devi anche capire che c'è un altra maniera di vedere il calcio. E' quella strada che ti porta a dire che vincere non è tutto. E il gioco che è tutto.

mercoledì 5 novembre 2014

Volare da solo

Era la prima volta che volava da sua figlia senza Luciana. 

Per Giulia non doveva essere stato facile capire la separazione dei genitori. Una cosa inusuale, a 68 anni. E in effetti chi avrebbe potuto mai pensare che loro, insieme dai tempi dell'università, si sarebbero mai potuti separare?
Giorgio e Luciana, Luciana e Giorgio. Quarantasette anni insieme. Ma la vita tranquilla a cui aspirava Giorgio era diventata per Luciana monotonia, ed i nodi di quel rapporto che forse tutti e due avevano dato per dipanati dal balsamo del tempo vennero al pettine. Senza isterismi, senza scenate. Ma inesorabilmente. 


Giulia era andata lontano. Lontano ma vicino. Quella sua scelta controcorrente di seguire il suo Efisio in quel paese affacciato verso il mare, ma con di fronte la Corsica, fu in effetti una sorpresa per entrambi. Giulia preferì l'insegnamento in una modesta scuola media ed una casa inondata dalla luce e dal blu piuttosto che una probabile cattedra nell'università dove lei aveva studiato ed entrambi i genitori lavoravano. Preferì, disse ai genitori "365 giorni di sole, vento e mare a 15 giorni di vita all'anno. E pazienza se vostra figlia non prenderà un nobel, spero le vorrete bene lo stesso". 

Lui, Giorgio, l'aveva capita. Luciana no.

Luciana vedeva per la sua unica figlia una brillante carriera accademica.  I presupposti c'erano tutti: laurea col massimo dei voti, un prestigioso master nella più antica università spagnola. E poi decine di pubblicazioni, articoli, collaborazioni. Invece, alla fine, nulla.
Una vita che Luciana immaginava noiosa, piatta, scialba, relegata nella mediocrità di un piccolo paese della periferia della periferia del mondo. 

E così, un po' per non poter seguire da vicino il futuro che lei aveva disegnato nella sua mente per la figlia ed un po' per prendersi i suoi spazi, aveva ripreso a viaggiare spesso e da sola. Aveva riannodato vecchi legami, ripreso contatti, riscoperto interessi, nella maniera ossessiva di chi deve recuperare il tempo perso. Poi, dopo poco più di un anno, l'annuncio: vado via. 

A Giorgio il mondo cadde addosso. 
Già si vedeva in calzoncini corti in quella bella casa che si erano acquistati a soli 5 km da quella di Giulia. 
Perchè già si vedeva ad insegnare al piccolo Pietro come si va in bicicletta senza le rotelle. Ed immaginava per Luciana e lui loro altri dieci,  vent'anni di vita fatta di nuovi interessi, di vita semplice e ritmi rilassati vivendo in un clima mite ed in una natura meravigliosa. E poi Efisio era il genero perfetto: sempre disponibile, pieno di interessi, entusiasta della sua terra eppure così aperto al mondo. 

Ma questo evidentemente a Luciana non bastava. Non era quello che si attendeva dopo una vita passata nell'ambiente accademico. Aveva altre ambizioni che andare in barca con Giorgio o trovare Giacomo e Ilaria (i consuoceri) per interminabili pranzi domenicali. 

Giorgio riprese lentamente a farsi una vita. Lui e Luciana avevano in fin dei conti sempre avuto vite abbastanza indipendenti, ed interessi tra loro complementari  avevano fatto spesso invidia ai loro amici.
Del resto per Giorgio cucinare era sempre stata una passione. Una lavanderia a 50 metri da casa ed il privilegio di avere un appartamento in una zona servitissima risolsero i problemi più immediati. Gli amici, pochi in verità, rimasero più vicini a lui, affabile e sempre disponibile.
Ma quello in cui davvero Luciana era insostituibile era organizzare i viaggi. E dunque a Giorgio n
on capitava mai di volare da solo: anche quando era invitato a seminari e convegni riusciva sempre a portare con sé Luciana. Un po' perché aveva paura del volo e, soprattutto, perché Luciana aveva una straordinaria efficienza organizzativa, mentre lui immancabilmente dimenticava qualcosa. Luciana questo lo sapeva, e verificava sempre tutto prima. Quanti voli avrebbe perso senza di lei! E così si preparò tutto da giorni prima, controllando ancora ed ancora. Finché 4 ore prima della partenza del volo si rese conto che la carta d'identità scadeva mentre sarebbe stato in viaggio. Panico. Chiamata d'obbligo a Luciana (in Norvegia). Fu affettuosamente liquidato in 10 secondi. "Per i voli nazionali puoi usare anche la patente di guida, e siccome la prendemmo assieme so che scade tra 4 anni. Bacia Giulia e Pietro."

Si avvicinò ai controlli di sicurezza con l'aria di chi non è ben sicuro di cosa deve fare, eppure aveva preso l'aereo tante di quelle volte.. "Questa è la carta d'imbarco, questo il documento, no quest'altro.." Gli cadde tutto di mano ed urtò col capo quello dell'addetto della sicurezza che si inchinava a raccoglierli anche lui. Fini per terra, Giorgio, nell'ilarità dei presenti. Rise anche lui, di gusto, mentre l'aiutavano ad alzarsi. Il volo stava per partire, e lui sebbene dolorante alla testa si sentiva più calmo.

Quasi che quella botta lo avesse fatto rendere conto davvero dell'assenza di Luciana ma lo avesse reso più cosciente dei suoi limiti. E mentre si rialzava, lentamente e con quel grosso bernoccolo che gli si andava formando in fronte, prese di colpo coscienza che l'assenza di Luciana era certo enorme ma non gli impediva nulla. Dipendeva molto, tutto, da lui. La vita che avrebbe vissuto, le nuove esperienze che lo attendevano. 

Come volare da solo.  

mercoledì 1 ottobre 2014

Una stretta di mano.

Fuma nervosamente. 
Ho una visione di lui il giorno dell'orale al diploma. Molto alto, piuttosto robusto, sfoggiava incurante pantaloni attillati verdi, un po' eccessivi, ed una camicia bianca. Urlacchiava roba un po' senza senso su D'Annunzio, ma oltre una patina di studio da ultimi 10 giorni la sostanza non c'era. Prese un 40 a mio avviso rubatissimo e si atteggiò a vittima perchè "quelli come me sono scomodi al giorno d'oggi".

Il mio treno parte tra 3 quarti d'ora e voglio chiamare prima a casa. Stamattina operavano il cane e Concetta  era un po' in ansia. Finisce la sua sigaretta.

"E tu dove vai?" interrompe i miei pensieri così, come quando nelle riunioni di consiglio di classe interrompeva chiunque senza motivo, bastava che si stufasse di scroccare sigarette ai più piccoli. Allora piazzava il suo "pezzo" che durava dai trenta secondi ai 2 minuti, a seconda della pazienza di Prof. Basilone. Libertà, partecipazione, la scuola è un palestra di vita, sciopero per riscaldamento che accendono 20 giorni all'anno (d'inverno) organizzare la gita anche per i meno abbienti come lui (in primavera). 

Superficiale, vuoto, ripetitivo. Una persona priva di spessore.

Un giorno, sempre l'anno del diploma attaccò briga con Flavio Parrucchetti, uno che vestiva dimesso, parlava poco e non dava fastidio a nessuno. E che si faceva 3 ore al giorno di autobus per venire a scuola. E che non scioperava. Gli strappò quello zaino fuori moda che aveva. Flavio aveva gli occhi lucidi perché sapeva che non si poteva ribellare al Capoclasse. Sennò erano calci in culo, e anche forti. Ma c'era un limite a tutto. Lo sfidai solo quella volta: "Parrucchino lo facciamo entrare, sennò il babbo lo ammazza di colpi. Mostrati magnanimo" Lo blandivo. Ma lui era intimamente crudele. "No Parrucchino mi sta sul cazzo che si veste come un prete." Ma io lo lasciai passare. Lo sguardo di riconoscenza di Flavio mi trafisse. "Sei un debole, nella vita non otterrai mai un cazzo" sibilò "Tu non ti preoccupare, e rendimi le 50mila lire che ti ho prestato il mese scorso". 

Lo sapevo che mi sfruttava, così come sfruttava moltissimo le nostre compagne di classe. La facilità con la quale fregava loro dei soldi con le scuse più assurde aveva davvero dell'incredibile, così con la facilità che aveva ad entrare in sintonia con loro.  

"E insomma Pietro, proprio non me lo vuoi dire?" Il flusso dei mie pensieri è ancora interrotto da quella voce nasale.
"Innsbruck, ho acquistato una casa d'epoca in centro quest'anno e la sto ristrutturando" 
"Davvero?" 
"Si, ho la passione per le case antiche. Chissà magari tra un po' di anni mi ci trasferisco, e tu?" 
"Torno a Livorno, tra 10 giorni ripartiamo in missione, non ti posso dire per i motivi che immagini." Fa il misterioso, anche se sa benissimo che l'uniforme da sergente di marina e il nome della nave ben visibile nel bagaglio lo rendono facilmente identificabile. Ma tant'è.

Accende un altra sigaretta.
"E insomma, sei uguale a vent'anni fa, ma guardati!" 
Sorrido. "Si anche tu però, giusto i capelli più corti.." 
Mento spudoratamente, avrà preso 40 kg. dal diploma. Ed è ancora più monumentale. Il viso un po' gonfio ed un colorito non sano fanno pensare a problemi al fegato. 
"Due figli, giusto?" 
Ridacchia "Eh si, due bei maschioni!" gli si illumina il viso. "Antonio fa 15 anni la prossima settimana e Roberto 13 appena fatti. Li vedessi, uguali a me!" Subito mi mostra sul telefonino la foto di due ragazzini clamorosamente sovrappeso. 
"Con la tua ex moglie..si insomma li vedi spesso?" 
Si adombra un attimo 
"Ma certo, quando voglio! Figurati che da poco siamo andati a vedere la Lazio tutti assieme coi ragazzini. Vedessi che contenti.." 
Il tono di chi l'ha sparata grossa c'è tutto, non mi va di infierire. So dei suoi problemi, e suppongo che col lavoro che svolge non deve essere stato semplice. La cosa in paese si seppe in fretta, mio fratello me la disse quasi subito. "Ma lo sai che Ugone, insomma quelle voci..era tutto vero. La moglie lo ha lasciato subito". E quel mio pensiero che lui non fosse adatto ed in fondo non si meritasse una famiglia fu puntualmente confermato.

"E tu invece figli niente, eh?"  Ancora una volta mi interrompe lo scorrere dei pensieri.
Mi schernisco"Sono troppo preso da me stesso". Non sa degli aborti di Concetta ed in fin dei conti perché parlargliene? Quelli come lui cose del genere non le capiscono.

"Ti va un caffè" butta là sicuro del no. 
"No grazie, devo partire. Ugone mi ha fatto davvero piacere vederti". 
Ci stringiamo la mano. Non è mai stato il mio forte, lui invece ha la bella stretta di mano franca. L'unica cosa che gli invidio, a questo frocio di merda.





venerdì 29 agosto 2014

Saperci fare

Aveva avuto anche lei le sue possibilità.


Quando si era ammalata la madre, il padre sempre impegnato in quegli strani commerci con il continente le aveva lasciato per qualche tempo la responsabilità dell'emporio. Non che gli affari fossero andate male, anzi per la verità anche per la chiusura dell'emporio nel paese vicino le vendite erano aumentate. Ma il padre dopo neppure un anno preferì affiancarle il fratello Pietro, di diversi anni più giovane e poco più che adolescente. In poco tempo prese il suo posto. Pietro, diceva il padre, sorride ed è sempre gentile con i clienti. E poco male se alcuni si lamentassero con Ziu Diego che Pietro non facesse tanto caso alla puntualità nella consegna delle merci, o se la contabilità delle entrate ed uscite non fosse mai aggiornata. Il sorriso di Pietro, un buon bicchiere di vino ed un mezzo toscano mettevano quasi sempre le cose a posto. Era un discorso tra uomini alla fine, ed in questo lei, anche per l'educazione rigida impartita dalla madre, davvero non avrebbe mai potuto saperci fare.

Quando era in età da marito non aveva mostrato interesse per nessuno in particolare. E non che potessero mancare i pretendenti. Ziu Diego ero uno dei maggiorali del paese, produceva e vendeva bene il suo formaggio all'esercito, e non si era mai tirato indietro da aiutare qualcuno in difficoltà. L'emporio ed altre terre messe a vigna oltre il fiume ne facevano il secondo uomo più ricco del paese dopo il conte, ed Anna evidentemente era ritenuta un ottimo partito. Ma l'altezza (era più alta del padre e del fratello che pure erano assai più alti della media e di molto la più alta tra le donne in paese), la corporatura atletica ed una espressione sempre severa sul viso le tenevano a distanza i pretendenti. Alla fine Ziu Diego, vedendo che aveva oltrepassato i 25 anni senza dare nessun segnale particolare, aveva scelto per lei Antonio Coiana. Di molto più anziano di lei, vedovo ma senza figli, Antonio era il suo spedizioniere, persona che conosceva da bambino. Era un eccezionale cacciatore e uomo dai modi un po' bruschi ma onesto ed infaticabile lavoratore. Sarebbe potuto andar bene per Anna. E anche quando glielo comunicò, alla vigilia di Pasqua, Anna non commentò neppure. Disse solo "Quando lo dovrei sposare". Avuta la risposta, si informò brevemente dalla zia e le serve di casa sul carattere di Antonio  al di fuori del lavoro, e saputolo uomo irreprensibile e timorato di Dio, si mise l'animo in pace. E così fu anche per lei una brutta notizia il naufragio del bastimento che portava, tra gli altri, Antonio Coiana di ritorno da una proficua vendita a Napoli. Certo non mise il lutto, ma da quel momento fu considerata da tutti un po' una mezza vedova. Insomma, se si fosse sposata prima magari la disgrazia non le sarebbe toccata. Ed in effetti se solo avesse voluto..insomma in quel frangente non aveva mostrato di saperci fare.

Quando le era poi toccato accudire il padre, certo aveva fatto il suo dovere fino in fondo. Ziu Diego non si era ripreso da una rovinosa caduta da cavallo. Le ferite andarono in cancrena e l'amputazione di una gamba migliorò la situazione, ma siccome anche qualcosa in testa si doveva essere rotto ad Anna toccò amministrare i terreni della famiglia. Pietro era troppo impegnato nel lavoro all'emporio, la vendita dei formaggi e nella politica (era segretario del Fascio del paese) e veniva a trovarli poche volte al mese. Quando poi Pietro dopo la Guerra d'Abissinia divenne Potestà, alcuni in paese cominciarono ad arricchirsi un po' troppo rapidamente grazie a Pietro o "il capitano Cossu" come amava farsi chiamare lui. Lei, che si occupava solo della gestione dei terreni con i mezzadri, non approfittò di poter acquistare a due soldi i tanti piccoli appezzamenti dei contadini disperati che lasciavano il paese per cercare un futuro migliore al sud, nelle miniere di carbone.  Certo approfittare delle disgrazie altrui non è bello però forse un altra persona (Pietro per esempio) avrebbe dimostrato di saperci fare.

Quando poi Ziu Diego morì, alla fine di settembre del '43, fu sola a seppellire il padre. Il figlio di Pietro, Diego Maria, era un bambino. Pietro, che aveva combattuto in Africa, era forse prigioniero degli inglesi. Certo Anna aveva dato una mano all'emporio oltre che badare ai terreni ed al nipote, rimasto orfano di madre quasi nello stesso periodo. Ma Tittu, come era chiamato in casa tuo nonno Diego, era un ragazzino difficile da gestire, che si metteva spesso nei guai. E la zia dovette spesso mettere a tacere chi aveva voglia di fargliela pagare a suon di banconote da 500 lire. Quando poi divenne padre aveva 17 anni, tua nonna 15. E così a Zia Anna le toccò da fare da balia anche a me, al figlio del nipote, oltre al lavoro all'emporio ed amministrare i possedimenti. Certo che per complicarsi la vita, aveva dimostrato di saperci fare.

Quando poi si seppe che Pietro era morto di vaiolo, tutto passò praticamente sulle sue spalle. Zia Anna era forte, severa, io me la ricordo ..roba di mani che aveva. Tuo nonno quando fu arrestato e poi ingiustamente condannato all'ergastolo per quel fatto che sai dopo qualche anno si ammalò. Io me lo ricordo appena a mio babbo, figurati. E insomma tua zia Anna così passò il resto della vita: tra carceri, lavoro all'emporio e amministrare i terreni. Poi però i terreni li vendette per comprare quegli appartamenti a Cagliari che abbiamo noi oggi. Certo magari ci avrebbe potuto comprare un palazzo intero invece che solo  otto  appartamenti..non è che con gli affari ci sapesse fare. 
Anche l'emporio per esempio..ma te l'immagini se invece del distributore di benzina ed il tabacchino ci avesse fatto un bel negozio di alimentari? 
"Sarebbe fallito come quello di Giovanni Soddu" 
Ma cosa ne sai tu? Voi donne cosa ne capite di soldi.. Dai sparecchia in fretta e fammi un buon caffè che al bar c'è la partita e devo andare..
"Lo so che vai là per il video poker" 
Vedi in questo sei come zia Anna. Ti poni troppi problemi figlia mia. Nella vita bisogna saperci fare.




  

domenica 27 luglio 2014

Il rumore della ruota

Ascolto con non troppa attenzione una conversazione telefonica tra mia madre e mia figlia.  Arianna ha appena compiuto 10 anni. Si sta affacciando alla vita, con la giusta inconsapevolezza mitigata da quel suo essere già da tempo l'adulto più giovane di questa casa.


Mia madre si lamenta delle sue condizioni di salute, che putroppo sono peggiorate parecchio in questi ultimi mesi. 
La vita le ha giocato uno scherzo beffardo proprio quando avrebbe potuto godersi la vita,  lei che la ha vissuta tutta in funzione dei figli come tante altre mamme che conosco e che hanno consapevolmente scelto quel ruolo. Si lamenta, mia madre, delle forze che le stanno mancando, del fatto che oramai non riesce a fare quasi nulla da sola.



Arianna la ascolta con pazienza e la rincuora: vedrai nonna col tempo migliorerai, ci vediamo presto. La voce non è annoiata né disattenta, potrei quasi dire che è soppesata anche nelle pause. 

La ricordo due anni fa quando le è morto il nonno che insieme all'altra nonna praticamente l'aveva allevata per i suoi primi 3 anni. Distribuiva i fazzoletti alle persone che venivano a dare l'ultimo saluto a nonno Aldo, controllata nel dolore a cui si era abbandonata solo con noi. Quel giorno ci ha informato che lei era l'adulto più giovane della casa,  senza annunci ma con i fatti, la compostezza dei gesti e dei comportamenti di chi ha percepito che da noi il lutto non è solo un fatto privato ma anche sociale.


Dicevo, ascoltavo quella telefonata ma distrattamente.  Il rumore dominante era quello della ruota. Il rumore era lento ma continuo, di un meccanismo oliato che svolge il suo lavoro con precisione, quello della ruota che gira per il verso giusto. 
Io non ci faccio tanto caso. Che la ruota giri è nella logica delle cose, che giri nel verso giusto c'è solo da rallegrarsene. Che talvolta giri troppo in fretta può dispiacere ma siamo preparati, sappiamo che può succedere.  Che giri nel verso opposto,  sappiamo che può succedere anche quello ma non ci vogliamo pensare.


Mi capita di sentirlo con l'andare degli anni un po' più di frequente il rumore di questa ruota. Ora non so se è il mio udito che si sta affinando o cosa. Ma succede più spesso: quando la mia figlia più grande mi rende i soldi che le presto, quando l'altro mio figlio,il più piccolo, mi sorprende con una bella frase con i congiuntivi tutti al loro posto, o quando il dolore al piede decide che no, proprio di correre non se ne parla.

Il rumore della ruota mi ricorda di quanto io sia un privilegiato nel avere qualche momento per poterla udire. Perché sebbene tutti sappiamo che essa gira,  poche volte ci fermiamo ad ascoltarla.

mercoledì 25 giugno 2014

Sanità di eccellenza in Sardegna, ma anche no

Quanto è accaduto nella nostra isola in quest'ultimo mese e mezzo ha davvero dell'inverosimile. 


La Qatar Foundation Endowment ha ribadito più volte il suo interesse per rilevare l'ospedale oramai pronto per il quale la fallita Fondazione San Raffaele ha speso decine di milioni di euro negli scorsi anni, ragionevolmente incoraggiata da tutte le parti politiche che in questi anni si sono alternate. Il fondo ha ribadito che si farebbe carico di tutti i debiti. L'investimento complessivo sarebbe di 1,2 miliardi di euro. 



Scandalizzarsi oggi sul fatto che si sia sbancata una intera collina e che si sia costruito un impressionante parallelepipedo bianco in mezzo alla macchia mediterranea non ha senso.  Nel paese dove non si può fare la pulizia di un fiume perché è l'habitat del gallo cedrone, salvo poi scoprire che il fiume straripa e distrugge un paese intero, discorsi del genere, pro o contro, non hanno ragion d'essere.



Ma l'inverosimile da noi è la norma.

E allora si assiste a dichiarazioni tipo che "si possa correre il rischio di sovrapporre o addirittura annullare eccellenze sanitarie presenti e già operanti, con pieno merito ed ampia soddisfazione dei pazienti sul nostro territorio" (Mario Satta, PDCI Tempio, che non dice di quali eccellenze si tratti).
Ma è contraria ed in maniera neanche tanto velata una parte considerevole della sanità privata. Infatti con un nuovo moderno ospedale di oltre 250 posti letto è evidente che la sanità privata convenzionata perderebbe in tutta la Sardegna un numero considerevole di potenziali clienti.


Per fortuna i nostri politici sono tutti d'accordo.

Di più, il rappresentante del fondo del Quatar in Italia è stato ricevuto da Renzie insieme al nostro presidente della regione. Tutto fatto, perciò. 
Ma è oramai da 4 settimane che l'accordo che pare "imminente" o per alcuni "già fatto" in realtà non sia manco approdato nella competente commissione regionale. 
E le parole che in sé farebbero ben presagire suonano sinistre perchè, appunto, sono dette da politici.
Sardi.
Ecco, qui sta il primo e principale problema. 
Noi.


E del resto che senso avrebbe altrimenti indire, in una torrida mattina d'estate, un sit-in di fronte all'ospedale dove fanno bella mostra di loro politici di tutti i colori e con le più variegate fedine penali nel quale si urla un "non abbassare la guardia"?

Costoro sono i "pochi che si oppongono in maniera chiara e ai tanti che lo fanno in maniera “carsica” (Gianpiero Scanu, PD) o addirittura i molti "in un sempre più palpabile clima di ostilità creato da un variegato fronte della conservazione che, con argomentazioni apparentemente tecniche e pretesti politici, mira solo a dilatare i tempi e a far fallire il piano voluto dalla Regione, dalle autorità qatariote e dal Governo" (Giuseppe Fasolino, PDL, che magari farebbe bene a fare i nomi invece che gettare la pietra e nascondere la mano).


Verrebbe da chiederselo: se si è tutti d'accordo perchè questi "al lupo-al lupo"?.

Perché evidentemente i nostri politici in primis hanno subodorato la fregatura, le lungaggini amministrative che priverebbero loro di uno straordinario bacino di voti, e la Sardegna (ma forse questo potrebbe essere secondario) di una possibilità concreta di avere un nuovo ospedale specializzato a livello internazionale in pediatria (il partner tecnico italiano è il Bambin Gesù di Roma) ma anche cardiochirurgia, neurochirurgia, e terapia intensiva e riabilitazione post operatoria.


Perchè in fondo sono tutti d'accordo per una sanità di eccellenza in Sardegna. 

Ma anche no.










sabato 31 maggio 2014

La Maglia. Intervista improbabile a Massimo Cellino

Intervista improbabile a Massimo Cellino. I contenuti sono frutto della mia fantasia. Non tutti.

Andrea: "Minca o Massimo ma quando eravamo a un passo ad andare in finale di coppa Uefa è vero che ti sei venduto la partita con l'Inter?"
La faccia di Massimo Cellino è una mappa della metropolitana di rughe.
Massimo: "E bà chi ti pongu is manus a pizzus." Accende una sigaretta. "Se avessimo vinto quella partita saremmo stati in finale con gli austriaci che erano una squadra abbordabilissima."

A:"L'incazzo più grosso, al di là della questione stadio?"
M: "Ne ho due. Non essere andati in Uefa l'anno dopo perdendo in casa con la Sampdoria ed andare in serie B perdendo lo spareggio col Piacenza."
A:"Il pacco più grosso che hai fatto?"
M: "Anche qui ne ho due, e tutti alla Juve: O'Neill e Matri. O'Neill piaceva troppo la bottiglia, a Matri la figa. E gli eccessi, a meno che non sei un genio assoluto, li paghi tutti."
A:"Ma cosa ti ha fatto Zola per essere mandato via senza un grazie?"
M: "Ma 'ta ses narendi? Zola è un professionista che ha fatto una grande cosa, tornare a giocare in Serie B in casa sua. Ma sapeva bene che a me più che il giocatore interessa la squadra."
A: "A te quelli riservati, che non creano problemi, non piacciono. Sei naturalmente diffidente chi ti da poninti in culu"
M: "Che cazzata, pensa a Gianfranco Matteoli. Il Cagliari per come lo conoscete in questi ultimi 10 anni è molto creatura sua.
 A:"Il mister più preparato?"
M: "Tabarez"
A: "Il più scarso?"
M: "Trapattoni: aveva un'ottima squadra e quando l'ho esonerato era lì lì per entrare in zona salvezza".
A: "Il giocatore straniero che ti è piacituo piaceva di più?"
M: "A me piaceva molto Dely Valdes. L'ho pagato poco e venduto bene in Francia. Era forte di testa, coi piedi, centravanti vecchia maniera ma anche veloce. David Suazo per me è come un figlio, ti avrei detto lui ma voglio essere obiettivo"
A: Quello straniero peggiore?
M: "Peggiore non lo so, ma di sicuro chi mi deluse molto, forse non per colpa sua, fu Romero. Arrivò che era già un grande giocatore, ma fu davvero poco incisivo. Lo mandai via subito."
A: E per gli italiani?
M: "Chi era davvero fortissimo era Moriero. Potenzialmente avrebbe avuto un grande futuro, poi si è perso. Ma anche senza cercare Zola ho avuto giocatori eccellenti come Matteoli."
A:"Chi ti ha deluso umanamente?"
M: "Tanta gente. Più sardi che altri. L'invidia è davvero il nostro primo limite."
A: "Tornando indietro rifaresti tutto?"
M: "Non lo so. D'istinto visto come sono andate le cose, no. Ma poi devi fare un bilancio, e allora ti dico che ho fatto tutto quello che potevo, nel bene e nel male. Che sono stato odiato da tutti, stampa, tifosi, qualche presidente, ma che io ho sempre pagato gli stipendi, che i giocatori del Cagliari Calcio con me non sono mai stati neppure lontanamente coinvolti nelle scommesse. Perché forse farà sorridere ma anche io ho una mia etica, che nasce da una parola. Maglia. 
A: La Maglia è tutto.
M: La Maglia è tutto. E se sei di Cagliari è ancora di più. E le pacche sulle spalle al mercato di San Benedetto come nel quartino d'aria a Buoncammino, i "vai così presidente" detti da chi ti guardava negli occhi. Perché quelle persone sanno che  tu onorerai quella maglia, anche se non entrerai in campo, anche se la vedrai fumando e ghettandi lagrimas cummenti unu scimpru, anche in piedi nel tunnel degli spogliatoi o seduto appicculau al solito posto. Tu onorerai quella maglia, con le scelte di mercato talvolta azzardate ma che poi ti danno ragione col tempo, con gli esoneri di chi allena che dicono tutti che mandi via un genio e invece.."
A: "E invece?"
M: "E invece abbiamo i conti a posto, le tasse pagate, tutto in regola. Ah, dimenticavo, siamo in serie A!".
A: "Perché molli allora?"
M: "Mi seu segau is callonis di Zeddino e a dirla tutta dell'Italia. Baccagà, seu arrosciu."
A: "Ci credevi nello stadio, vero?"
M: "Compri un terreno per un sacco di soldi, il comune ti dice tutto a posto, e poi se ne esce l'Enac che là non puoi costruire. Ma tu l'hai mai visto l'aeroporto di Firenze? E' dentro un quartiere. I palazzi a meno di 300 metri. Su Is Arenas poi.. i vincoli dei fenicotteri. Davvero, meglio andar via."
A: "Che farai ora?"
M: "Vediamo se l'esperienza fatta qui può servirmi in questa nuova avventura a Leeds. Là posso fare solo l'imprenditore. Qui era diverso. "
A: "Mhh, no du sciu.. Ma Silvestrone non è che sei tu trassato a Americanu?"
M: "Eia, fairì cussu contu"

La sigaretta è finita, riceve una telefonata. Mi alzo, mi giro e me ne vado. Non mi volto, non saluto. Ma ho il nodo in gola di quella volta che scendemmo col Piacenza. Perché in questo ha ragione lui. Quello che conta è la maglia. 

     

mercoledì 30 aprile 2014

Il piacere del sapere.

Da Internazionale, articolo di Tullio De Mauro
Meglio un diploma in un istituto professionale industriale o commerciale che una laurea in storia dell’arte: parole di Barack Obama durante un incontro in uno stabilimento della General Electric in Wisconsin lo scorso 30 gennaio.
Peter Weber (su The Week del 19 febbraio) ricostruisce il putiferio che si è scatenato. Obama è stato tempestato di email di protesta. E alla fine ha dovuto smentirsi o meglio spiegare che era stato frainteso, che lui la storia dell’arte la ama fin da ragazzo e che, però, per molti ragazzi sarebbe meglio un buon lavoro nell’industria o nel commercio, e riflettere meglio sulla laurea da scegliere piuttosto che scegliere un incerto futuro come storico dell’arte. Nuove proteste che hanno rilanciato la questione della convenienza degli studi universitari negli Stati Uniti.
...
Traduco: pensa a farti una posizione. Al museo potrai sempre dire di fronte ad un quadro:"Ma questo lo so fare anch'io"!
Parto da questo presupposto per commentare questa estremamente infelice uscita di Obama. Il presidente americano parte da un assunto che io contesto alla radice: uno studia per diventare ricco. La cosa, intendiamoci, non è relegata al di là dell'Atlantico. Il mito di "su fizzu dottori" ce l'abbiamo ben chiaro anche qui nell'isoletta.
E' il connubio "sapere-ricchezza materiale" la prima e più  importante motivazione che ci spinge a studiare. La cosa è radicata, direi ovvia. La cosa è però, per me, profondamente sbagliata. Specialmente se si associa maliziosamente alle materie umanistiche, aggregate ad un tipo di sapere "meno utile" o meglio che difficilmente porta alla ricchezza. E dunque alla felicità, che scaturisce dal piacere di una vita agiata.
Ecco, è in questa sorta di trinità "sapere-ricchezza-piacere" che si può riassumere questa nostra malata (secondo me) concezione  di "sapere" ai giorni nostri.
Ammetto, sono prevenuto. Vengo, orgogliosamente, da studi umanistici.
Anche, ma vorrei dire soprattutto, ho compreso che il sapere è anche un piacere. Leggere una epigrafe e comprenderne il significato, versare su un piatto di oggi una salsa a base di pesce e pensare al "garum", indovinare la presenza di un nuraghe guardando una altura. Questo piacere forse non sarà paragonabile a quello di guidare un Suv di 5 metri, stappare una bottiglia di wisky di 50 anni, viaggiare in first class.
Ma il mio è un piacere che può accadere in qualunque momento. Che non contempla un vestiario griffato, una occasione speciale, un pubblico di colleghi invidiosi.

Ed in fin dei conti, non sempre meno intenso.

domenica 30 marzo 2014

Stressare il concetto

E' passato un mese e mezzo dalle elezioni regionali in Sardegna. Per me, le uniche elezioni che valgono.
Mi ci è voluto un bel po' per farmene una ragione.

Ma la verità è una sola: la mia candidata ha perso, rovinosamente. Il 10% dell'elettorato è stato un risultato estremamente deludente. Eppure si partiva da premesse diverse. La candidata del PD inquisita era messa da parte obtorto collo grazie al solito editto di oltre Tirreno. I 5 stelle non riuscivano a mettere in campo una lista, la destra arrivava alle elezioni divisa e con un numero pazzesco di consiglieri indagati.
Insomma, c'era il tanto per pensare magari non ad una affermazione vincente, ma almeno ad un risultato tra il 15 e 20%. Arrivare in consiglio regionale, far vedere di che pasta si era fatti.

E invece nulla. Un anemico professore universitario, cugino nostrano di Monti il cui unico pregio è stato di avere un padre che ha scritto un grande libro 46 anni fa (che ho anche io, per la verità) è stato incredibilmente eletto con oltre il 40% dei voti. A ciò si aggiunga, consequentia mirabilis, che i voti dell'inguardabile candidato della destra, governatore uscente apostrofato "merda" dallo stesso Silvio B. non erano inferiori a quelli del centro sinistra, che vince le elezioni solo perché il suo candidato governatore ha preso più preferenze individuali.

Perché?
Perché non siamo un popolo, e men che meno il prototipo mal riuscito di una qualche regione autonoma.

Siamo Sardi per il pane carasau, per il mirto, per il vino "di proprietà", perché il mare più bello è il nostro, perché "noi non siamo meridionali", perché "lo diceva anche Fabrizio De André che la Sardegna è il paradiso".


Siamo Sardi  perché la bandiera dei 4 mori è sempre dappertutto (e molto spesso a sproposito), perché parliamo sardo ma ce ne vergogniamo, perché per sembrare integrati parliamo con l'accento di Milano, o di Torino, o di Genova (con risultati spesso imbarazzanti), perché Gramsci e Berlinguer e Zola... sono stati quello che sono stati  fuori dalla Sardegna.


Siamo Sardi perché non riusciamo ad immaginare un campionato di calcio che si giochi tra Cagliari, Sassari Olbia e Alghero, perché i "continentali" li reputiamo spesso bizzarri ma vogliamo essere come loro, perché andiamo in vacanza a Ibiza dove tutto è cementificato fino a dentro l'acqua del mare, che diciamo tranquillamente che fa cagare, ma che "loro si che fanno turismo tutto l'anno".


Siamo Sardi perché siamo invidiosi fino al midollo del nostro vicino, che bruceremmo casa nostra pur di bruciare la sua. Perché non compreremmo uno spillo ad un sassarese ma lo compreremmo arrugginito da uno di Parma. Perché "tu non puoi capire la nostalgia" ma poi "in Sardegna non ci torno, si vive di merda, il problema siamo noi (voi)".


Siamo Sardi perché non abbiamo speranze e quando qualcuno ci offre una soluzione cerchiamo il raggiro, il trabocchetto, la fregatura. Perché dentro di noi siamo stati nuragici fregati dai fenici fregati dai cartaginesi fregati dai romani fregati dai bizantini fregati dai pisani fregati dagli aragonesi fregati dai piemontesi fregati dagli italiani fregati dall'Europa.


Siamo Sardi perché la malinconia è dentro di noi, il nostro carnevale fa paura, le nostre maschere fanno piangere i bambini. Il suono della nostra musica viene dai flauti dei pastori di 4000 anni fa e non è mai cambiata. E' armonica, ritmica, ma sempre uguale. I nostri vestiti sono elegantissimi, ma  il nero è il colore dominante. Perché da noi la convivialità vuol dire bere fino a perdere conoscenza, e se non bevi sei un caghino, e se non reggi l'alcool sei un mezzo caghino, e se sei un caghino..non sei sardo.


In ultimo, siamo Sardi perché da soli non sapremo mai governarci, come diceva Carlo Quinto. Certo, siamo abilissimi in ammazzarci in faide che se ci hanno protetto dall'instaurarsi di criminalità organizzata (fino ad oggi) ci hanno reso violenti ed infidi tra noi dai tempi dei tempi.
In quest'ambito, letteralmente, non sappiamo fare un cazzo, in speci ein politica. Un esempio?
Il consigliere UDC Giorgio Oppi – indagato per peculato nell’inchiesta sull’abuso dei soldi ai gruppi consiliari – è stato appena eletto nel collegio dei questori del Consiglio Regionale con incarichi di verifica dell’attività del suddetto consiglio e gestione proprio dei fondi consiliari. C'è un bel detto in campidanese: fidai puddas a marxiani, consegnare le galline alla volpe.
Ecco, questo per me è stressare il concetto. Noi da soli non sappiamo governarci.

A Dublino in un parco c'è una roccia dove c'è scritto
In the darkness of despair we saw a vision,
We lit the light of hope and it was not extinguished.
In the desert of discouragement we saw a vision.
We planted the tree of valour and it blossomed.
In the winter of bondage we saw a vision.
We melted the snow of lethargy and the river of resurrection flowed from it.
We sent our vision aswim like a swan on the river. The vision became a reality.
Winter became summer. Bondage became freedom and this we left to you as your inheritance.
O generations of freedom remember us, the generations of the vision.

Io faccio parte, per certo, della generazione dei nonni dei visionari. Malasorti.

lunedì 3 febbraio 2014

Voterò Michela Murgia

Voterò Michela Murgia perché è antipatica. Mi sono seccato di vedere il politico sorridente e piacione, che dice tutto ed il suo contrario, che è con Confindustria ma anche con i Sindacati, che è con la chiesa Cattolica ma strizza l'occhio al mondo gay. Nella vita devi decidere da che parte stare. Quando la sento parlare, cosa pensa mi arriva chiaro e diretto.

Voterò Michela Murgia perché è brutta. Mi sono stufato di vedere nonnini che si rifanno l'impianto ai capelli più e più volte, con la faccia tesa e le rughe piallate. Di seni e culi finti, basta. Non la voto perché sogno di portarmela a letto. La voto perché dice cose sensate e credo le porterà avanti.


Voterò Michela Murgia perché non sa chi è il capitano del Cagliari. Perché io ai tuttologi non ci ho mai creduto. E non mi importa che lo sappia. Lei e la sua giunta debbono governare, e bene, il posto dove vivo. Allo stadio che vadano i tifosi. Come me.


Voterò Michela Murgia perché ha fatto cose che sono il contrario di cercare il consenso. E' andata nel Sulcis a dire che i combustibili fossili non hanno futuro. Se perdesse le elezioni solo per un voto e quel voto fosse nel Sulcis, credo non se pentirebbe. Ed io con lei.

Voterò Michela Murgia perché non dà spazio all'immaginazione. Mi ha detto prima chi saranno i suoi assessori. Niente teatrini, tutti ci hanno messo la faccia, molti di loro non sono politici né lo sono mai stati, tutti sono competenti per i posti ai quali sono stati designati.


Voterò Michela Murgia perché è una presuntuosa. Si. è presuntuosa perché non crede che in Sardegna non abbiamo bisogno della star continentale con il suo codazzo di leccaculi locali. Non ha certo chiamato Silvio o Renzie, non ha neppure strizzato l'occhio a Grillo. Va per la sua strada perché è conscia che chi la voterà non sopporta che in Sardegna abbiamo sempre bisogno dell'aiuto da fuori. Presuntuosa, vero?


Voterò Michela Murgia perché è donna. Non mi è mai successo prima, e lo trovo francamente assurdo. Non sono misogino, semplicemente non mi era mai capitato. Ripensandoci, le quote rosa sono una stronzata. Non gliel'ho chiesto, ma credo che lei la pensi come me, su questo.


Ma soprattutto voterò Michela Murgia perché devo. Lo devo innanzitutto al diritto che ho di vivere nel posto dove sono nato, un privilegio che noi Sardi capiamo appieno quando andiamo via.


domenica 12 gennaio 2014

Ma che poi, corro

Martedì 8 gennaio 2013, ore 5.25.

Ma poi è buio-buio fuori. E fa freddino. Il materasso nuovo con quella sensazione come di trattenerti dentro fa egregiamente il suo dovere. E le perplessità dentro aumentano. Ma chi te lo fa fare? Quei propositi "anno nuovo/vita nuova" lasciali agli altri, a chi non un c. da fare.

Eh, ma poi devi lavorare, e quando esci da quel lavoro, c'è l'altro, ricordi? Te la sei voluta aprire la ditta tua? E adesso pedala! O le tasse come speri di pagarle?

Si, ma poi da quando non fai più di 2 km correndo? Dalle superiori, più di 25 anni fa. Una vita. E poi c'è chi è nato, per correre. Tu al massimo puoi fare camminate. In primavere ed estate. Ecco, fai così.
Si lo so quella pancetta da impiegatuccio non si può vedere..e troverai un rimedio. In farmacia ci sarà pure qualche pillola, una crema. No?

Ma che poi, che cavolo avrà quella gente da correre? Dov'è che deve andare..alle Olimpiadi?  Ma non sentono freddo la mattina? Boh.
Ma poi tu non sei allenato. E pensa i crampi, l'acido latticooo, no troppo male. E quelli..e quelli sono da tanto che lo fanno, hanno la passione. Tu hai la passione per la storia, leggi libri, no?

Ma poi davvero ti piacerebbe? E' una cosa ripetitiva, sempre uguale. Li vedi quei minnanni* di sessant'anni, correndo? C'è qualcosa di innaturale vero? Ajò ma così la vuoi finire?

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Sabato, 11 gennaio 2014

Ma poi oggi me la prendo un po' comoda dai, mi alzo alle 6.
Giulia mi manda un messaggio su what's up..mi da la buonanotte. Le scrivo "buongiorno".
Fuori c'è il nebbione, ma giacca a vento è di un giallo così sprammato** che mi vedono gli astronauti.
Sto bene, mi va proprio di correre stamattina. Che poi adesso che ho trovato la distanza giusta, i dodici km, alla fine è l'unico momento della giornata che ho davvero per me, per pensare con calma, per riflettere.

Mi infilo il collant. Il primo giorno che l'ho messo mi sono detto: ti piazzi il tutù, e sei pronto per la Scala. In fondo invece sono comodissimi. Sono dimagrito bene, e anche le "maniglie laterali di sicurezza" non si vedono quasi più. Mi ricordo quest'estate Nicola che mi dice: "ma allora la corsa per la pancetta serve.." Mio sorrisino di compiacimento.
Mi metto le scarpe. Che poi mi sembravano così assurde il giorno che mi sono arrivate..Con quella suola arancione, ajò sembravano finte.

Ma che poi non c'è tanto freddo fuori, è solo umido. Ed io che mi faccio quasi sempre quel giro all'Isola Bianca, che dal mare, dall'acqua non mi voglio allontanare troppo. Siamo un po'anfibi, noi nati sul mare.
Vai, Runkeeper è partito. La voce di Skin mi accompagna, morbida ma potentissima. Stamattina ho un po' di roba da vedere..ah devo andare alle Poste. Dopo pranzo però un'oretta con Marco me la voglio prendere: uno contro uno. Le porte nuove sono una figata.
Arrivo al Ponte di Ferro. Dieci km sono volati, tra manco 10 minuto sono a casa. C'è così nebbia che non si vede a 50 metri. Che bella atmosfera, però.

Ma che poi quanto si apprezzano le stagioni così? Tutte. Indistintamente. In ognuna trovi il lato bello. Il mare d'inverno, che cosa speciale. La voce di Runkeeper mi da il ritmo medio per km: 5e15, buono ajò. Non ci andrò alle olimpiadi, ma se mi ripenso un anno fa, ora sono Mennea.

Ma che poi, mi sà che è un anno che ho cominciato. Cess.. un anno, di già? Ma le seghe mentali che mi ero fatto? Nell'indifferenziata. Perché se ho imparato qualcosa in quest'ultimo anno è proprio che mi dovevo scrollare di dosso questa idea di cronica inadeguatezza che mi porto dentro, e che maschero con il carattere socievole e la parlantina sciolta. Non lo so se continuerò ad essere in futuro così regolare nella corsa. Mi piacerebbe però. Da poco alla tele ho visto Morandi. Becciu gi è becciu***, ma corre quello che corro io, praticamente. Certo ad arrivarci come Morandi..vabè arrivato a casa.

Apro il cancelletto. A casa, dal piano di sopra un silenzio profondissimo. Devo mettere a posto il divano da ieri, Arianna si è addormentata vedendo il film con me. Ajò, cominciamo la giornata. Se mi sbrigo alle Poste non trovo la fila. Conosco già la risposta, arriverò tra i primi. Perché mi conosco: farò finta di fare le cose "modalità sabato".
Ma che poi, corro.


*nonnetti
**eccessivamente sgargiante
***Vecchio è vecchio