mercoledì 30 aprile 2014

Il piacere del sapere.

Da Internazionale, articolo di Tullio De Mauro
Meglio un diploma in un istituto professionale industriale o commerciale che una laurea in storia dell’arte: parole di Barack Obama durante un incontro in uno stabilimento della General Electric in Wisconsin lo scorso 30 gennaio.
Peter Weber (su The Week del 19 febbraio) ricostruisce il putiferio che si è scatenato. Obama è stato tempestato di email di protesta. E alla fine ha dovuto smentirsi o meglio spiegare che era stato frainteso, che lui la storia dell’arte la ama fin da ragazzo e che, però, per molti ragazzi sarebbe meglio un buon lavoro nell’industria o nel commercio, e riflettere meglio sulla laurea da scegliere piuttosto che scegliere un incerto futuro come storico dell’arte. Nuove proteste che hanno rilanciato la questione della convenienza degli studi universitari negli Stati Uniti.
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Traduco: pensa a farti una posizione. Al museo potrai sempre dire di fronte ad un quadro:"Ma questo lo so fare anch'io"!
Parto da questo presupposto per commentare questa estremamente infelice uscita di Obama. Il presidente americano parte da un assunto che io contesto alla radice: uno studia per diventare ricco. La cosa, intendiamoci, non è relegata al di là dell'Atlantico. Il mito di "su fizzu dottori" ce l'abbiamo ben chiaro anche qui nell'isoletta.
E' il connubio "sapere-ricchezza materiale" la prima e più  importante motivazione che ci spinge a studiare. La cosa è radicata, direi ovvia. La cosa è però, per me, profondamente sbagliata. Specialmente se si associa maliziosamente alle materie umanistiche, aggregate ad un tipo di sapere "meno utile" o meglio che difficilmente porta alla ricchezza. E dunque alla felicità, che scaturisce dal piacere di una vita agiata.
Ecco, è in questa sorta di trinità "sapere-ricchezza-piacere" che si può riassumere questa nostra malata (secondo me) concezione  di "sapere" ai giorni nostri.
Ammetto, sono prevenuto. Vengo, orgogliosamente, da studi umanistici.
Anche, ma vorrei dire soprattutto, ho compreso che il sapere è anche un piacere. Leggere una epigrafe e comprenderne il significato, versare su un piatto di oggi una salsa a base di pesce e pensare al "garum", indovinare la presenza di un nuraghe guardando una altura. Questo piacere forse non sarà paragonabile a quello di guidare un Suv di 5 metri, stappare una bottiglia di wisky di 50 anni, viaggiare in first class.
Ma il mio è un piacere che può accadere in qualunque momento. Che non contempla un vestiario griffato, una occasione speciale, un pubblico di colleghi invidiosi.

Ed in fin dei conti, non sempre meno intenso.