giovedì 17 aprile 2008

La sconfitta

Niente America, niente duello McCain-Obama all'italiana. Semmai assomigliamo di più alla Thailandia del miliardario Thaksin, col signore delle televisioni che torna prepotentemente al governo a braccetto con lo xenofobo padano. Per continuare - sulla scia delle paure sociali - il lavoro che ha già profondamente trasformato questo paese nella costola più retriva e populista dell'Europa.
Il responso elettorale è pessimo. Talmente brutto che permetterà a Silvio Berlusconi d'incalzare il Pd sul terreno delle riforme plebiscitarie e presidenzialiste. Walter Veltroni deve stare attento a non rallegrarsi per l'attenzione che il Cavaliere gli concederà, in un abbraccio che magari permetterebbe al leader del Partito democratico di assecondare il suo credo bipolarista, finendo però per travolgerlo. Il risultato del Pd non è esaltante: poco sopra a quello dell'Unione di due anni fa solo grazie al voto utile che ha desertificato a sinistra, senza recuperare nulla al centro e a destra. Anzi.
Ma ciò che oggi salta più ai nostri occhi, in maniera netta, è la sconfitta della sinistra, fin dentro il baratro - perdendo tre milioni di voti - della scomparsa parlamentare. I prodromi c'erano tutti, ma non ne abbiamo viste fino in fondo le conseguenze. La Sinistra-l'Arcobaleno ha pagato carissimo il costo di due anni di governo in cui non ha portato a casa quasi nulla di ciò che si aspettavano il suo elettorato e la sua gente. Così ha perso consensi a sinistra, nell'astensionismo e - seppure in misura minore - verso liste minori. Poi è stata penalizzata dalla logica del «voto utile» (a contrastare Berlusconi) dissanguandosi per il Pd. Infine, proponendosi come investimento sul futuro - pensando che una promessa sia un progetto - ha svelato tutto il vuoto di analisi sociale e proposta cultural-politica che ne fotografa oggi le assenze. Si è offerta come un «vuoto da riempire». Gli elettori, che non sono scemi, non le hanno creduto: la composizione delle liste è stata da manuale Cencelli, era evidente la divisione che continuava tra i partiti «promotori» (pronti a sfilarsi un minuto dopo la chiusura dei seggi). Risultato: macerie, che rischiano di seppellire quel poco di pratica comune affrettatamente sperimentata in campagna elettorale.
Da oggi la sinistra è un soggetto extraparlamentare. Non è cosa da niente: scompare ogni argine istituzionale alle strette che si preparano con l'approssimarsi della crisi economica - che già ha spinto a destra molta parte dei soggetti sociali più deboli - e di fronte al trionfo populista e autoritario delle destre. Resta un futuro tutto da costruire: se si partirà dalla lezione subita, ricominciando da zero a praticare il conflitto sociale e capire come dare veste politica a un'ipotesi d'alternativa al quadro liberista, persino una simile sconfitta può diventare un'occasione. Se ci si ridurrà a una resa dei conti tra quadri dirigenti - priva di autocritica (a partire dalla messa in discussione del ruolo di ciascuno) -, allora si diano al turismo. Niente Thailandia, meglio il Nepal.



Gabriele Polo
Il manifesto 15 aprile 2008