sabato 25 aprile 2015

Gite e ignoranza

Mia figlia non è potuta andare in gita con la scuola perché alcuni genitori hanno fatto mancare il numero minimo per la creazione del gruppo.
Questi solerti rappresentanti della sicurezza dei loro figli erano preoccupati di un viaggio in aereo per paura "dei terroristi arabi" (era appena accaduto l'incidente del volo German Wings ma ovviamente la colpa era degli "arabi") .
Peccato davvero, le gite con la scuola sono un bel momento per i nostri figli (quinta elementare, per alcuni primo viaggio in aereo..) e sono momenti che ricordiamo volentieri anche da grandi. Sui "terroristi" poi, semplicemente non c'era bisogno di prendere l'aereo. Erano già qui ad Olbia, da tempo e ben integrati nella nostra economia.

Non possiamo, non dobbiamo, permettere che la paura prenda il sopravvento. Che l'ignoranza non permetta ai nostri figli ed a noi di viaggiare. Perché viaggiare, secondo me, è sapere. E se noi non viaggiamo e non sappiamo, poi finisce che, per davvero, crediamo che esistano degli Dei contenti che tu tagli la gola a una persona.

martedì 31 marzo 2015

Ti lascio un messaggio

Ti ho chiamato ma non rispondevi. Dovevi essere fuori casa. No, il cellulare non è cosa per te. È che ti volevo chiedere di spiegarmi come era Cagliari prima della seconda guerra mondiale. Lo sai quanto sono fissato con la storia.

E anche di mio nonno, tuo padre. Ma mi piacerebbe che mi dicessi la verità. Non quella stucchevole storiella dei bombardamenti. Quella la so a memoria. No volevo sapere quant'era duro aver perso tutto e ripartire da zero. Come fece tuo babbo, con un sacco di figli piccoli, la casa distrutta e il lavoro da fabbro. 

Volevo sentirti parlare in cagliaritano. Un po', solo un po'. Hai visto, anche io lo parlo bene, mancai no ci bivu immoi bint'annus, in Casteddu. 

Poi ti volevo dire che quella volta che mi hai detto che in fondo anche io avevo trovato la mia strada, beh mi ha fatto piacere. Non siamo mai andati d'accordo noi. Ma non credo ti sia costato ammetterlo. Sapevi essere obiettivo, quando volevi.

No non mi manchi. E no, non mi sei di esempio in nulla. Ma sento, questo si, davvero, che avremmo potuto tutti e due fare di meglio, di più. 
Per te io sono sempre stato quello riuscito male. Per me tu qualcuno da prendere a piccole dosi, anzi, da evitare. E ci siamo riusciti bene, in questo.

È da un po' che sono padre anch'io. Sapessi quanto mi impegno ad essere diverso da te. Ogni tanto però mi sento parlare ed incredibilmente nelle mie parole sento un riflesso, un qualcosa che inevitabilmente mi riconduce a delle cose che sentivo dire a te. 
Tranquillo, io le dico meglio, e poi ascolto la risposta. Ma la preoccupazione per i figli è la stessa. E si, anche io sono convinto di avere ragione.

Si è fatto tardi, ed il tempo che avevi è finito. Ti lascio un messaggio. Anche se so che non lo ascolterai.


sabato 28 febbraio 2015

L'agenzia delle entrate sarda spiegata ad un bambino

Riprendo l'articolo del Blog di Antony Muroni, illuminate per il ritratto della pochezza della classe politica sarda. Una vergogna nella vergona


  

Molti di noi, negli anni appena trascorsi, hanno sposato il progetto dell’Agenzia regionale delle Entrate. Molti di noi hanno creduto che potesse rappresentare uno scatto in avanti rispetto alle rivendicazioni di uno Stato che ha spesso truccato le carte nei confronti della Sardegna, rivelandosi un pessimo pagatore.

Cos’è per tutti quelli – compreso il sottoscritto – che anni fa hanno firmato la proposta del Fiocco verde, l’Agenzia regionale delle Entrate?
Un nuovo organismo chiamato a riscuotere i tributi dei sardi, al posto dell’attuale Agenzia delle Entrate. Un organismo capace di guidare la Sardegna verso la sovranità fiscale. Quella proposta per molti di noi ha rappresentato la madre di tutte le battaglie: una battaglia di sovranità e dignità, per i nostri diritti e la nostra esistenza. Un voler cambiare le regole del gioco, facendo sì che la classe politica sarda si possa assumere ogni responsabilità. Perché se siamo stati così coraggiosi da farci carico finanziariamente di competenze come la sanità e i trasporti non si vede perché non dovremmo essere noi a gestire l’accertamento, la riscossione e la gestione dei nostri tributi. Quei tributi che servono proprio per far andare avanti la sanità, i trasporti, le politiche del lavoro e per l’impresa, l’aiuto alle famiglie e l’assistenza sociale, l’istruzione e la ricerca e tanto altro ancora. In definitiva, la nostra vita collettiva. Ci aspettavamo e ci aspettiamo il rispetto dei patti vigenti fra la Sardegna e lo Stato italiano, sanciti dalla riscrittura dell’articolo 8 dello Statuto sardo. In sostanza, l’istituzione di un’Agenzia Sarda dalle Entrate, che potesse garantire al popolo sardo, attraverso il controllo delle proprie risorse, certezza e serenità, prosperità e dignità.
Ora ci dicono che tutto questo non si poteva fare recependo già in sede di finanziaria un emendamento meritoriamente presentato da un consigliere di maggioranza. Ci dicono, in alcuni casi con grande enfasi, che l’Agenzia regionale delle entrate verrà presto istituita grazie all’approvazione di un progetto di legge che la Giunta sta elaborando.
Restiamo in fiduciosa attesa di poterne confrontare il testo con quello presentato nel 2012 dal Comitato per il Fiocco verde. Non avremo difficoltà a farlo, nonostante il vecchio articolato sia sparito dal sito in cui sono raccolte tutte le adesioni degli enti locali alla vecchia proposta. Un giornalista, anche se scarso, conserva sempre tutto nel suo archivio. Proposte di legge, dichiarazioni, comunicati, interviste. Va bene che in politica si possono cambiare quattro o cinque partiti in dieci anni, ma la speranza è che su una battaglia così ideale e così rappresentativa delle aspettative e delle speranze di molti sardi, non si sia cambiata idea. Costituirebbe un tradimento e non basterà certo asfaltare cinque o sei strade per farlo dimenticare.
Soprattutto, non si provi a prendere in giro l’opinione pubblica, facendo passare una “matta ‘e ardu” per “Lenardu”.
A innantis, fintzas a sa veridade.

sabato 31 gennaio 2015

LA VERTENZA ENTRATE SPIEGATA A UN BAMBINO

Condivido l'ineffabile articolo di Antony Muroni.
Non più tardi di quattro giorni fa questo giornale titolava in apertura “Fisco sardo, sfida allo Stato”. La notizia? Il segretario regionale del Pd, autorevoli consiglieri di maggioranza e il massimo dirigente di un partito che sostiene Pigliaru in Consiglio invitavano la Giunta a dare finalmente applicazione a quella parte dello Statuto che conferisce alla Sardegna titolarità in materia di riscossione delle imposte maturate sul suo territorio. Con tutto quel che ne consegue.
Questa sarebbe una bella novità. Un indizio di un percorso finalmente nuovo, di assoluta discontinuità nei confronti di un passato (specie quello recente) costellato di sconfitte, schiaffi, soprusi e malgoverno. E invece – legittimamente – la Giunta nicchia, scegliendo di “vendere” come un grande successo (arrivando a piccarsi per l’asserito poco spazio che questo giornale avrebbe dato alla notizia) l’arrivo nelle casse regionali di trecento milioni di euro, molto parziale rifusione di quanto lo Stato deve a quest’Isola. Perché, occorre non dimenticarlo mai, l’Italia ha incassato quei soldi su mandato della Sardegna, con la promessa (mancata) di restituirle il dovuto. Ora onora solo una piccola parte di questo impegno.
A noi piace parlare semplice, in modo che le cose le capisca anche un bambino. E allora ai nostri lettori, sperando di non abusare della loro pazienza, vogliamo raccontare una storia che somiglia molto da vicino a quella della vertenza (sic) Entrate. I genitori assegnano a un bimbo due euro al giorno, affinché compri la merenda da portare a scuola. Ma il pargolo si sente impreparato a tenere in tasca quei soldi e persino a spenderli. Allora accetta che i genitori li diano al fratello di qualche anno più grande. Quello li incassa, esce di casa man mano col più piccolo, e una volta sulla strada di scuola tiene tutti i soldi per sé. L’indifeso salta la merenda il primo e il secondo giorno, il terzo inizia a brontolare. Al quarto decide di fare una vertenza e al quinto costringe il fratello maggiore a sedersi attorno a un tavolo. Al sesto – quando ormai è stremato, si sta quasi abituando a saltare la merenda e alla violenza psicologica del più esperto («ma pensa, tu mi chiedi questi soldi per la merenda ma ti scordi di tutto quello che io faccio per te») – qualcosa sembra sbloccarsi, fino a quando – al settimo giorno – l’affamatore cede: «Va bene, hai quasi ragione. Vorrà dire che da domani ti darò 70 centesimi ogni giorno». Settanta? E l’altro euro e trenta? E tutti gli arretrati? «Arretrati? No, guarda, per quelli devi fare un’altra vertenza».
E allora si riparte: un tavolo, la trattativa, la violenza psicologica e i conti. «Beh, per sette giorni non mi hai dato niente, dunque mi devi restituire almeno 14 euro, magari con qualche interesse. E poi vogliamo anche parlare dell’euro e trenta che continui a trattenermi ogni giorno?». No, il fratello maggiore non ci sta. «Se non ci accordiamo sul fatto che ti accontenti di settanta centesimi al giorno, degli arretrati nemmeno ne parliamo. Fai un’altra vertenza». E allora, un po’ preso per fame, un po’ per stanchezza, il pargolo sempre più smagrito accetta di parlare solo degli arretrati. Da un giorno all’altro l’impegno a restituire quattordici euro si è trasformato in una comoda rateizzazione per complessivi dieci euro. «E gli altri quattro?». «Lascia perdere i quattro, pensa a questi dieci». In corso d’opera il fratello maggiore – che nel frattempo aveva sperperato tutti i suoi capitali, arrivando a sospendere le rifusioni, all’indomani del primo versamento – riconvoca il fratello al tavolo e gli fa l’ultima offerta: «Posso darti solo sette euro, complessivamente. Prendere o lasciare». Alla fine il piccolo prende, cos’altro potrebbe fare?
Chi osserva da fuori la scena ha il quadro chiarissimo, eppure il fratello grande cerca di far passare la cosa come atto di giustizia. Dimentica che si è partiti da due euro al giorno e si è arrivati a settanta centesimi. E soprattutto, furbescamente, sposta l’attenzione sui sette euro di debiti che ha onorato, tralasciando abilmente gli altri sette sui quali è riuscito a fare la cresta, sottraendoli per sempre al piccolo sventurato.
E quest’ultimo cosa fa? Convoca una conferenza stampa per vantarsi del fatto di aver ottenuto meno della metà di ciò che gli spettava o si rivolge ai genitori per dire con risolutezza: «Questa vicenda mi ha reso più maturo di ciò che ero e più consapevole del fatto che con i soldi necessari alla sopravvivenza non si scherza. D’ora in poi vorrei amministrare io la mia quota per la merenda»? Chiedete ai vostri figli o ai vostri nipoti e avrete la risposta.