giovedì 18 giugno 2009

Hanno fatto credere a Lilli di essere una giornalista

Riporto un gustoso articolo di Angelo d'Orsi, di una puntata che peraltro ho visto anch'io di 8emezzo, e che posso confermare essere andata davvero così.
Buona lettura


Ieri ho guardato la televisione. Venti minuti. La 7, la rete “libera” per eccellenza; ho seguito il programma Otto e mezzo, con la signora Gruber (che vezzeggia protetta dal suo vezzeggiativo: Lilli). A lei, ahinoi, qualcuno ha fatto credere a suo tempo di essere una giornalista, poi una politica europea, poi ancora una grande osservatrice delle “aree calde” del mondo; poi, infine, avendo fallito in tutti questi campi, è ripiegata sul piccolo schermo. Là, nel caravanserraglio, c’è posto per tutti e tutte. Anche per lei, che non si capisce se faccia la belloccia impenitente, la venditrice di bigiotteria spacciata per gioielleria, la signorina di un numero a pagamento che riempie i sogni di qualche pensionato inquieto e indigente. Come sa chi segue il programma, Miss Lilli è affiancata da un giornalista “di destra”, Federico Guiglia, che ha due spettacolari occhi color cielo, che finiscono per vincere il confronto con le labbra pneumatiche (nel senso di Michelin) della sua co-conduttrice; e presenta il vantaggio inestimabile di parlar poco, e in modo pacato, senza pavoneggiamenti (che mi tocca fare!? Elogiare uno di destra e pure maschio!).

Ebbene, il tema della puntata (che aveva già avuto inizio) era il rapporto tra pettegolezzo e politica, tra pubblico e privato nella leadership, insomma, il tema era lui, lui sempre, fortissimamente lui: il cavaliere dimezzato. Che passa quotidianamente di scandalo in scandalo, ma parlare di gaffes, anzi di simpatiche gaffes (come tendeva a far credere quel fatuo che risponde al nome di Antonio Capranica, il quale presentava il suo ennesimo superfluo libro di aneddoti, appunto dedicato alle gaffes dei politici). Ma Capranica ci ha fatto, tutto sommato, un figurone, al cospetto dell’altro invitato, Carlo Rossella, considerato (nella finta “opinione pubblica” imposta da quattro scribacchini e ciarlatani radiotelesivivi) uno dei cosiddetti (o sedicenti) “principi del giornalismo”. Un senso di pena, autentica pena, mi è sorto dalle profondità delle viscere, fin dalle prime battute di questo bellimbusto che avrebbe forse meritato di conoscere la nobiltà del lavoro, ma purtroppo ha avuto la sventura di avere sempre la schiena piegata. Non per lavorare, bensì per servire i potenti. Per lui si è trattato sempre solo di dire di sì. E da quando l’astro del Cavaliere si è profilato all’orizzonte, egli ha compreso di avere trovato una sua casa definitiva. E ha dato fondo a tutte le sue (notevoli) doti di azzimato maggiordomo. Ieri, dunque, non un verbo è stato proferito dalla sua bocca che non fosse di sciocchissima lode del signore (no, non l’Onnipotente, ma il creduto tale, San Silvio da Arcore), facendo mostra di uno zelo non soltanto degno di miglior causa (e qualsiasi causa sarebbe più decente e onesta di quella volta a difendere il signor B dalle sue infinite volgarità e scelleratezze), ma quasi ostentando, assiso sul ben protetto carro del vincitore, la sicurezza della menzogna, della banalizzazione, o della divagazione, rubando il pane al mitico avvocato Ghedini (su cui basta leggere quanto scriveva Michele Serra sulla rubrica “L’amaca” de la Repubblica qualche giorno fa). Ghedini, nella sua odiosa maschera, è un professionista, pagato – profumatissimamente – dal capo; e fa il suo mestiere, ma qual è o quale sarebbe il mestiere di Rossella Carlo? Gior-na-li-sta!!! Persino Giuliano Ferrara, con l’improntitudine intelligente che gli è propria, ha criticato il Cav., per il modo con cui sta affrontando l’ondata di scandali che avrebbe travolto un monarca dell’Ancien Régime, ma a quanto pare – o meglio a quanto egli dichiara – non basta a scalfire di un pelo la testa bitumata (l’efficace espressione è di Marco Travaglio) del piccolo duce.

Ma Rossella no, Rossella, con fare colto, con modi forbiti, con l’espressione di chi la sa lunga e si trova davanti una platea di rozzi bestioni, ci spiegava che il capo non ha sbagliato una mossa, che non ha compiuto errori. Ci è mancato il peana poetico alla Bondi, ma il resto c’era tutto e in sovrabbondanza. Non uno straccio di ragionamento, non un cenno ai fatti, non una riflessione su quanto fuori d’Italia si sta pensando e scrivendo sull’ex-ex-ex Bel Paese, divenuto cloaca maxima del mercimonio travestito da politica, della selezione innaturale del ceto politico, della confusione tra affari di famiglia e questioni di Stato, dell’illegalità diffusa che viene sponsorizzata dall’alto, dell’evasione fiscale, dello scempio ambientale.... Ebbene, Rossella Carlo, non è l’avvocato assunto dal premier, non è un “suo” ministro o sottosegretario, e neppure un “suo” deputato; nossignori! Egli è un “giornalista”: la cui missione, come quella dello storico, è l’accertamento e il racconto della verità. Il disvelamento delle menzogne. Lo smascheramento delle bugie.

Eppure, perché scandalizzarsi? Sono lontanissimi i tempi dei Salvemini o dei Rosselli, dei Gramsci o dei Gobetti: degli uomini con la schiena diritta, anche quando, come nel caso di Gramsci, era spezzata dalla malattia. Oggi è il tempo dei genuflessi. Il luccichio del potere abbaglia e obnubila, offusca e ottunde. E la “vile razza bastarda” degli uomini di penna (o di piccolo schermo), per citare ancora Piero Gobetti, non anela che a saltare sulle ginocchia del sovrano, o, in mancanza, di un suo prossimo. Della vile razza bastarda i pseudogiornalisti, ahinoi, sono i più pericolosi e i più infami. Oggi vincono, perché sono nel mainstream, e forse non è neppure vicina l’alba del giorno in cui dovranno rendere conto del tradimento della loro deontologia. Ma, almeno, lasciatemi consolare sognando che, come in una vecchia pellicola cinematografica, oltrepassate le colonne di questa vita, e fingendo che ve ne sia un’altra, qualcuno chiederà loro: perché tanta voluttà di servire, caro amico? Perché tanta passione per l’occultamento della verità? Non lo sapevi che non bisogna ingannare il popolo? L’inferno non esiste, ma almeno che esista un purgatorio ove fare apprendere a costoro dei lavori manuali socialmente utili. Che so? Zappare un campo incolto, spostare pietroni, dare il concime (naturale, per carità!) alle piantagioni, raccogliere i pomodori, pulire le stalle… Le stalle. Dove, almeno dalle parti di Arcore, si possono sempre fare incontri interessanti. O no, signor giornalista Rossella Carlo?

Angelo d'Orsi