martedì 8 settembre 2009

Indipendenza dello stato sardo: utopia o autentica possibilità?

Recentemente da semplice simpatizzante sto seriamente interessandomi alle vincende dell'indipendentismo isolano.
Dal mio background di ex studente di storia ho cercato dei "case studies" che si potessero in un certo qual modo avvicinare a quanto potrebbe accadere in Sardegna: sinceramente anche il più similare in termini geopolitici (la nascita della repubblica d'Irlanda negli anni '20) ha dei connotati che non riesco a trovare nella nostra realtà.

Nel dettaglio, quel sincero e profondo "sentidu" che caratterizza le autentiche lotte indipendentiste e la mancanza di una classe intellettuale che porti avanti un pensiero politico coerente con tale rivendicazione.

Ciò a mio avviso ha radici lontane: la creazione dello stato italiano come nazione è palesemente non una rivoluzione di popolo, come accadde per esempio in Grecia nell'800, ma il risultato di un'accorta politica di alleanze e fortunate coincidenze del più attivo dei regni peninsulari che, per uno strano scherzo del destino, si chiamava appunto regno di Sardegna. Dunque, come dire, noi siamo Italia prima degli italiani. In più, nel momento in cui i Sardi, finita la prima guerra mondiale e tornati nelle loro case dalla prima autentica esperienza di massa di espatrio (seppure per fini di belligeranza) trovano finalmente coscienza della loro specificità ed unicità, invece che optare per la soluzione indipendentista scelgono quella autonomista. E' quello, non dimentichiamoci, il momento di maggior coscenza e successo popolare di una forza politica di ispirazione Sarda. Sarda, eppure indiscutibilmente italiana.

In secondo luogo, dal punto di vista culturale, le migliori intelligenze dello scorso secolo, da Gramsci a Lussu a Berlinguer, si sono mosse nell'alveo culturale italiano, certo chi più chi meno con connotazioni che rendevano riconoscibile la loro ascendenza regionale, ma che in fin dei conti italiani. Dunque, appunto, la mancanza di una classe intellettuale che razionalizzi in pensiero politico il sentimento popolare.

Questi due gap, tuttavia, sarebbero potuti essere sconfitti se, appunto, ritrovandosi in una situazione di palese insofferenza del governo centrale, si levasse dall'opinione pubblica isolana un forte sentimento di secessione. Ma ciò non accade, anzi. Drogati da una televisione e stampa (anche e spesso locale e dunque ancora più colpevole) che preferiscono il Billionaire al Nuraghe, i Sardi hanno sviluppato una sorta di masochismo che li rende, specie le giovani generazioni, più refrattari all'idea di identità Sarda e sempre di più omologati ai parietà continentali nella celebrolesa identificazione col "furbo che ha svoltato". Degli ideali di equità sociale e del modo di vivere semplice delle decine e decine di generazioni di Sardi che gli hanno preceduti su questa Isola, nessuna traccia.

La mia sconfortante disanima potrebbe terminare qui se, invece, non ci fossero dei chiari elementi di vantaggio che potrebbero, nel giro di pochi anni e se ben spesi, fare la fortuna di un movimento indipendentista nazionale Sardo e che proverò a riassumere in alcuni punti.

- La comunicazione può diventare l'elemento essenziale di un aumento di visibilità del movimento indipendentista: mai come nel mondo di oggi la circolazione di idee, documenti ed immagini è facile. Mai come oggi, grazie ad internet, attività come il blogging ed il social network rendono immediata la fruizione di contenuti.
-L'alfabetizzazione massiva consente a chiunque di poter sviluppare una coscienza critica. Oggi chi vuol essere disinformato politicamente lo fa per sua precisa scelta. Quel tipo di cittadino/elettore seguirà la corrente se essa sarà impetuosa, o sennò non andrà a votare. Ma, contestualmente, rende maggiori le possibilità di aver a che fare con cittadini consapevoli, dunque potenzialmente più sensibili ad un messaggio diverso dal solito "un milione di posti di lavoro".
- La ripresa di identità nazionale Sarda come elemento di distinzione nel vestire: l'argomento, me ne rendo contro, potrebbe apparire futile, eppure, entrambi i candidati di schieramenti naizonali nelle precedenti elezioni avevano, chi in una giacca chi con una camicia, elementi che facevano l'occhiolino alla rinascente tradizione sartoriale dell'interno, non più vista come mero elemento folcloristico, ma come elemento "fashion" da sbandierare.
- La maggiore possibilità per i Sardi di fare viaggi di turismo al di là del mare li rende consapevoli delle straordinarie potenzialità, ovviamente non solo turisiche, dell'Isola. Rende inolte i più consapevoli dell'incredibile inettitudine della classe dirigente regionale. Questo aspetto è sempre sottovalutato nei dibattiti politico, ed è invece uno straordinario punto di forza per un movimenot indipendentista.
- La composizione demografica degli abitanti dei centri maggiori è estremamente eterogenea grazie ai flussi migratori interni degli anni 50 e 60 in alcune zone ed ancora molto consistenti in altre (Gallura per es.). Ciò può eliminare la connotazione campanilistica sostituendola con un più comune senso di sardità, e dunque di presa di coscienza dell'esistenza di una relatà nazionale Sarda.

Questi pochi punti sono evidentemente incompleti e frutto di un'analisi sommaria, ma possono essere comunque di spunto. Tuttavia, per un'autentica possibilità di elaborazione di un programma alternativo a quelli nazionali, evidentemente, mancano riferimenti di programma solidi. Non si può basare tutta una campagna elettorale sull'indipendenza energetica. Essa è senz'altro un ottimo argomento, particolarmente sentito nella nostra terra, ma è uno solo degli argomenti che IRS potrebbe legittimamente portare avanti.
Insomma il punto interrogativo del titolo di questo mio scritto potrebbe rimanere lì per altri 600 anni. E forse sarebbe un peccato.