lunedì 5 novembre 2007

Beniamino Andreatta, il professore che inventò l'Ulivo,

Gli occhiali sulla fronte, gli occhi chiusi, le mani dietro la testa, l'adagiarsi comodo di un Buddha non sempre benigno o di un orso non sempre feroce. Sembrava dormisse, non ascoltasse, poi improvvisamente una frase, un'idea, una soluzione. Che spesso pareva non c'entrare nulla. Invece... Gli piaceva parlare di "dissennatezza dei competenti", con l'autoironia di chi soffriva a fondo l'ironia altrui. Professore, primo della classe da sempre, fin dal premio come miglior laureato del 1950.

Beniamino Andreatta si sentiva il competente che conosceva i rischi dell'insensatezza in un mondo impreciso, il politico che "deve cercare di essere poeta, creativo" in una visione insieme pedagogica ed estetica. Citava il cattolico Pascal dell'"esprit de geomètrie" e dell'"esprit de finesse" per spiegare - arrivando al protestante Max Weber - la sua etica e la sua professione politica. Ha unito don Sturzo e Dossetti, senza mai dimenticare De Gasperi e il suo realismo rigoroso. Si è formato, a Padova, negli studi di filosofia del diritto con Norberto Bobbio e, a Milano, al ruolo di "economista istituzionale" con Pasquale Saraceno, uno dei padri dell'Iri. Ha insegnato Keynes e ne ha infranto fra i primi l'ortodossia. Ha predicato tagli e difeso lo Stato sociale contro la "paccottiglia" di Berlusconi. Ha sbeffeggiato il solidarismo che non si confronta con l'economia, ma è stato con Forlani in un governo che - lui al Tesoro - ha fatto esplodere la spesa pubblica. Ha cercato Dc sempre diverse di quelle che c'erano e in cui c'era lui, finché alla fine qualcuno gli ha pure rinfacciato di essere stato - con Martinazzoli - fra i "becchini" del partito cattolico. Ha sognato una programmazione in senso liberale e indicato come storici esempi del governare Quintino Sella e Marco Minghetti, ha seguito Aldo Moro e lanciato Romano Prodi. Non sopportava la "voglia di egemonia" di comunisti, ex e post, sperava in un confronto bipolare fra un centro dabbene e una sinistra mutata, ma è stato fra i padri dell'Ulivo che ha sposato ex-democristiani ed ex-comunisti.

Contraddizioni? Lui, con la testa abbassata, alzandola a scatti come un martello, chiedeva a sua volta: "Avete mai provato a sposare la razionalità con la passione? A coniugare la visione del tutto e l'attenzione del particolare? Non è facile, non è facile".

Era nato a Trento l'11 agosto 1928, orgoglioso di appartenere a una terra di confine. La moglie l'ha trovata di una città di margine fascinoso: la signora Giana è di Trieste, si conobbero alla Cattolica di Milano dove lui cominciava ad insegnare e lei studiava lettere per diventare poi psicanalista. E a quale scuola familiare sia cresciuto lo raccontano una madre asburgica e un padre funzionario di banca, cattolico liberale, che seguì Cesare Battisti arruolandosi nell'esercito italiano allo scoppio della Grande Guerra poi, soldato nell'ultimo conflitto, preferì la deportazione in Germania al giuramento a Salò. Tornò, Nino Andreatta padre, e il mattino dopo era già alla sua scrivania.

Il figlio si laureò in giurisprudenza a Padova, poi se ne andò a Milano, al Sacro Cuore, a specializzarsi negli studi economici. Lì conosce Siro Lombardini, che diverrà una guida nell'approccio fra l'economia come conoscenza e la politica come governo.

"Ciascuno attinge alla sapienza e cerca di tradurla in azione, senza la sacrilega convinzione di coinvolgere Dio nelle sue scelte" racconterà poi Andreatta per spiegare una formazione avvenuta anche sui grandi teologi protestanti come il Bonhoeffer morto in un lager. "Etica della responsabilità", "dignità della politica", due concetti che torneranno in anni recenti, quando ministro del Tesoro ordinò la liquidazione coatta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, scoperchiando un pozzo dei misteri che portò anche in Vaticano, allo Ior, al cardinal Marcinkus.

È la separazione fra valori cristiani e tutela della Chiesa sulla politica a legarlo ad altri giovani formatisi con lui nella Fuci e sulle "Cronache Sociali" di Giuseppe Dossetti: da Giuseppe Alberigo a Paolo Prodi, lo storico che gli presenterà - "studia economia" - il fratello più piccolo, Romano. Diverrà il suo discepolo più famoso e sarà Andreatta a spingerlo nel '95 a scendere in politica per unire centro e sinistra contro Berlusconi. Infinite conversazioni, nel salotto di casa Prodi che non ha mai smesso di dargli del lei, di chiamarlo professore con deferenza e non senza qualche timore.

Ma non fu mai un professore prestato alla politica, Andreatta. A unificare le due passioni fu Dossetti e il Keynes filtrato da Giorgio La Pira. Nel '62 incontra un altro dei suoi padri: Aldo Moro. Sta nascendo il centro-sinistra, il leader Dc nota il professore a San Pellegrino, a uno dei convegni del partito per prepararsi alla nuova via. Andreatta diventa consigliere economico di Moro. E si dimentica su un treno il discorso che questi deve pronunciare da presidente del Consiglio: la smemoratezza - dalle pipe infilate in tasca accese alla moglie lasciata a Roma, l'auto a Londra - arricchirà un'anedottica di cui lui ha molto patito, ma in cui ogni tanto lo solleticava avvolgersi, come nei vestiti e nelle cravatte che riusciva sempre a stropicciare.

"È uno che a un problema ti da dieci soluzioni. E una è buona" lo presentò Moro a Nenni. Andreotti chiosò che il "genio" è come la mostarda: un po' da sapore, un piatto intero non lo mangia nessuno. E Craxi: "intellettuale inventore, politico inventato". Con Moro, in un rapporto e in un progetto complesso come i due personaggi, tentò di conciliare tradizione cristiana e modernità, con competenze da economista e passione politica.

Quando le Br uccisero Moro lui sognò un "bagno purificatore" nella Dc. Due anni prima Zaccagnini lo aveva voluto senatore, l'anno dopo Cossiga lo prese come ministro al Bilancio, poi lo retrocesse a un senza portafoglio Incarichi speciali. E lui si inventò le "case Andreatta". Un'impronta, come in tutti i suoi passaggi nei palazzi del potere. Fu così per l'obbligo di copertura finanziaria delle leggi di spesa e minore entrata quando guidava la Commissione Bilancio. Per il divorzio tra la Banca d'Italia e il Tesoro, di cui era ministro, e che liberò l'istituto di credito dal vincolo di acquistare - emettendo valuta - titoli di Stato non assorbiti dal mercato. Mossa storica, cementò il rapporto con Carlo Azeglio Ciampi: si dava un ruolo primario agli organi tecnici e si ripuliva il potere di controllo dei politici.

L'attivismo dell'apparentemente pigro Andreatta. A Bologna, alla cui paciosità si è sempre ribellato pur vivendoci ed amandola, ha creato una scuola di economisti che ha sprovincializzato la cultura in Italia: la partenza fu l'introduzione in un panorama statico dei modelli del progetto Link del Nobel Laurence Klein sulle connessioni fra le economie mondiali. Furono Prodi, Tantazzi, Basevi, Onofri, Quadrio Curzio, Mario Draghi, Cavazzuti, Gobbo, Bianchi... Fu il centro di previsioni Prometeia, fu l'esplodere del Mulino. A Roma fu l'Arel, per introdurre una cultura legislativa nella politica. Quando nel ' 68 insegnava a Trento, in una facoltà di sociologia voluto da una sinistra dc ambiziosa di nuovi strumenti interpretativi, di fronte a studenti in contestazione all'incirca generale se ne saltò sulla cattedra per far sentire le proprie ragioni. D'abbasso c'era anche un giovanotto chiamato Renato Curcio, non proprio contento di sentir definire la rivolta "una forma di regressione antropologica". L'estremismo di centro di Andreatta che non sopportava gli estremismi ma quasi si divertiva a scatenarli.