sabato 31 gennaio 2015

LA VERTENZA ENTRATE SPIEGATA A UN BAMBINO

Condivido l'ineffabile articolo di Antony Muroni.
Non più tardi di quattro giorni fa questo giornale titolava in apertura “Fisco sardo, sfida allo Stato”. La notizia? Il segretario regionale del Pd, autorevoli consiglieri di maggioranza e il massimo dirigente di un partito che sostiene Pigliaru in Consiglio invitavano la Giunta a dare finalmente applicazione a quella parte dello Statuto che conferisce alla Sardegna titolarità in materia di riscossione delle imposte maturate sul suo territorio. Con tutto quel che ne consegue.
Questa sarebbe una bella novità. Un indizio di un percorso finalmente nuovo, di assoluta discontinuità nei confronti di un passato (specie quello recente) costellato di sconfitte, schiaffi, soprusi e malgoverno. E invece – legittimamente – la Giunta nicchia, scegliendo di “vendere” come un grande successo (arrivando a piccarsi per l’asserito poco spazio che questo giornale avrebbe dato alla notizia) l’arrivo nelle casse regionali di trecento milioni di euro, molto parziale rifusione di quanto lo Stato deve a quest’Isola. Perché, occorre non dimenticarlo mai, l’Italia ha incassato quei soldi su mandato della Sardegna, con la promessa (mancata) di restituirle il dovuto. Ora onora solo una piccola parte di questo impegno.
A noi piace parlare semplice, in modo che le cose le capisca anche un bambino. E allora ai nostri lettori, sperando di non abusare della loro pazienza, vogliamo raccontare una storia che somiglia molto da vicino a quella della vertenza (sic) Entrate. I genitori assegnano a un bimbo due euro al giorno, affinché compri la merenda da portare a scuola. Ma il pargolo si sente impreparato a tenere in tasca quei soldi e persino a spenderli. Allora accetta che i genitori li diano al fratello di qualche anno più grande. Quello li incassa, esce di casa man mano col più piccolo, e una volta sulla strada di scuola tiene tutti i soldi per sé. L’indifeso salta la merenda il primo e il secondo giorno, il terzo inizia a brontolare. Al quarto decide di fare una vertenza e al quinto costringe il fratello maggiore a sedersi attorno a un tavolo. Al sesto – quando ormai è stremato, si sta quasi abituando a saltare la merenda e alla violenza psicologica del più esperto («ma pensa, tu mi chiedi questi soldi per la merenda ma ti scordi di tutto quello che io faccio per te») – qualcosa sembra sbloccarsi, fino a quando – al settimo giorno – l’affamatore cede: «Va bene, hai quasi ragione. Vorrà dire che da domani ti darò 70 centesimi ogni giorno». Settanta? E l’altro euro e trenta? E tutti gli arretrati? «Arretrati? No, guarda, per quelli devi fare un’altra vertenza».
E allora si riparte: un tavolo, la trattativa, la violenza psicologica e i conti. «Beh, per sette giorni non mi hai dato niente, dunque mi devi restituire almeno 14 euro, magari con qualche interesse. E poi vogliamo anche parlare dell’euro e trenta che continui a trattenermi ogni giorno?». No, il fratello maggiore non ci sta. «Se non ci accordiamo sul fatto che ti accontenti di settanta centesimi al giorno, degli arretrati nemmeno ne parliamo. Fai un’altra vertenza». E allora, un po’ preso per fame, un po’ per stanchezza, il pargolo sempre più smagrito accetta di parlare solo degli arretrati. Da un giorno all’altro l’impegno a restituire quattordici euro si è trasformato in una comoda rateizzazione per complessivi dieci euro. «E gli altri quattro?». «Lascia perdere i quattro, pensa a questi dieci». In corso d’opera il fratello maggiore – che nel frattempo aveva sperperato tutti i suoi capitali, arrivando a sospendere le rifusioni, all’indomani del primo versamento – riconvoca il fratello al tavolo e gli fa l’ultima offerta: «Posso darti solo sette euro, complessivamente. Prendere o lasciare». Alla fine il piccolo prende, cos’altro potrebbe fare?
Chi osserva da fuori la scena ha il quadro chiarissimo, eppure il fratello grande cerca di far passare la cosa come atto di giustizia. Dimentica che si è partiti da due euro al giorno e si è arrivati a settanta centesimi. E soprattutto, furbescamente, sposta l’attenzione sui sette euro di debiti che ha onorato, tralasciando abilmente gli altri sette sui quali è riuscito a fare la cresta, sottraendoli per sempre al piccolo sventurato.
E quest’ultimo cosa fa? Convoca una conferenza stampa per vantarsi del fatto di aver ottenuto meno della metà di ciò che gli spettava o si rivolge ai genitori per dire con risolutezza: «Questa vicenda mi ha reso più maturo di ciò che ero e più consapevole del fatto che con i soldi necessari alla sopravvivenza non si scherza. D’ora in poi vorrei amministrare io la mia quota per la merenda»? Chiedete ai vostri figli o ai vostri nipoti e avrete la risposta.