giovedì 24 ottobre 2013

Io li porto

Porto mia figlia al lavoro. Una sensazione strana, ma bella.
Non glielo dico ma sono emozionato per lei. Ma non riesco a non essere banale.
"Mi raccomando Giulié, il sorriso sempre. Gentile, ma come cambi cliente cambi la maniera di approcciarlo." Lei come ovvio non mi ascolta. La testa è altrove, invischiata in quale miriade di pensieri a me sconosciuti. Ma anche se li conoscessi non li capirei, inserendoli nella ampia categoria "michiate" e li cancellerei subito dai miei ricordi.
Apre lo sportello "Ciao Pà". Nulla di quello che le ho detto le è rimasto impresso. Sa già il da farsi, è cosciente di esser là da poco ma di avere quasi completamente imparato il mestiere. Le mie raccomandazioni non le interessano, e non me lo dice solo per non litigare. Vuole la sua macchina, ed ha ragione.

Porto mia figlia (la seconda) a pallavolo. Mi piace quello sport nella versione femminile, mi ricorda la scuola, le risate da far male la pancia.
"Mi raccomando Ari, ascolta l'allenatore, non giocare sempre con le amiche, lo sport è una bella cosa ma ci vuole anche impegno".  Lei non mi ascolta ma finge il solito "Si" con la testa. Chiaramente farà quello che vuole, in palestra. "Ciao Papone, bacio". E via dentro. Di quello che le ho detto, figuriamoci..ci sono le amiche dentro. E vai a ridere. Il bagher? Può aspettare.

Riporto a casa mio figlio da calcio.
Vado un po' prima, e riesco a vedergli sbagliare un rigore e poi segnare un gol. Mi sono ripromesso di non fare commenti, ma come entriamo in auto ed il mio proposito dura 3 secondi netti. "Ma sei una pippa, ma come cavolo tiri?" "Eh oh Pà! Ma poi ho segnato!" La voce stizzita, un po' rauca di un bambino di manco 5 anni mi rimette al mio posto. Lui lo sa che doveva tirare forte e centrale quel rigore che invece è andato sul palo, perché lui si ostina  a calciare (bene) ti interno collo, e talvolta sbaglia.
Poi non ascolta ovviamente la mia predica sui rigori. Ha sete e fame, e non vede l'ora di tornare a casa.


Io sono contento di portarli in giro. Mi sento utile.
E sono tutti miei, per quei pochi minuti.
Anche se non mi ascoltano, anche se la mia voce è il rumore di sottofondo come il televisore quando si pranza, come quel telegiornale per loro incomprensibile ed assurdo.
Io sono felice dei miei monologhi. E non mi importa se per loro sono come un taxi. E' un momento in cui volenti o nolenti gli tocca stare con me.
In cui faccio il papà come mi immagino.
Quello che dà i consigli non richiesti ma che ti porta a destinazione in orario.
Che li porta ai loro impegni, nei loro mondi.
Che sfoga in consigli non richiesti la rabbia per non poterli stare più vicini, per non sapere entrare un po' di più nelle loro vite. Che li vede crescere, vivere e diventare sempre più indipendenti.
Ed è felice per questo.

La loro ruota gira per il verso giusto.
Ma per ora, io li porto.