mercoledì 27 agosto 2008

Balentìa

Non esiste nella lingua italiana un vocabolo che restituisca esaustivamente la concezione di Balentia, perché si entra in una dimensione che contempla in sé concetti assoluti come vigore, ardimento, temerarietà e baldanza di fronte a difficoltà da affrontare.
In realtà attende a una sfera che supera il terreno, se non fosse determinante l’accostare la Balentia alla delinquenza barbaricina del passato (e non solo!)
Nei fatti, qualche scalcinato teppista nostalgico rivendica la Balentia propria, e quella della comunità, che verrebbe usurpata da turisti istranzos, come fanno comprendere alcuni episodi verificatisi in Barbagia ultimamente, nel senso in cui li cita, e li coglie, il poeta-pastore Gavino Ledda, nelle pagine dell’Unione Sarda.
In s’antigoriu, nei tempi cioè della più antica tradizione sarda, si credeva nell’esistenza di uno spirito maligno il cui nome era Balente: era rappresentato come un essere dall’aspetto di bue o di porco, con terribili occhi dallo sguardo infuocato, che si moveva trascinandosi appresso robuste catene., nei tempi cioè della più antica tradizione sarda, si credeva nell’esistenza di uno spirito maligno il cui nome era Balente: era rappresentato come un essere dall’aspetto di bue o di porco, con terribili occhi dallo sguardo infuocato, che si moveva trascinandosi appresso robuste catene.
Un mito, una figura terrificante che, per la sua assoluta negatività, potrebbe aver contribuito ad accostare, sin quasi a sovrapporli, i concetti di Balentia e di delinquenza, di efferatezza, di quel tipo di malaffare spregevole, insensato e ferino.
Ma deu seu cumbinta chi sa Balentia est atera cosa!
Mi vengono in mente i cavalieri della Sartiglia di Oristano che si lanciano in una corsa sfrenata della quale la tensione, l’incertezza e la sorte sono gli ingredienti principali, cioè i veri protagonisti: i cavalieri sono soltanto gli intermediari fra le incertezze, le angosce della comunità contadina e la sorte (sors, intesa come entità labile, sfuggente e ultraterrena) da cui dipendono e a cui tendono, rappresentata da una stella appesa a un filo mediante un nastro verde.
Chi si propone come balente si lancia in un galoppo irrefrenabile con l’unico obbiettivo di cogliere il centro della stella con il suo stocco teso in avanti, in mezzo a due ali di folla trepidante, in un frastuono di rullare di tamburi.
Solo il balente ha il polso fermo e la freddezza per infilzare la stella e portarla a casa.
Più stelle infilzate dai balentes, più fortuna e più abbondanza nei raccolti.
Balentia è una parola magica, che mantiene intatta la capacità di evocare miti, eroi ed emozioni forti fra i giovani sardi.
Di recente ho assistito ad un concerto di un gruppo di tre cantanti che si sono autodefiniti "Balentes".
A un certo punto della serata, messi via gli strumenti, hanno intonato "a cappella", cioè senza accompagnamento strumentale, un canto dolcissimo e melodioso che ha ricreato il placido e continuo cullare di una ninna nanna: le tonalità vocali pur tanto differenti s’accordavano a formare uno strumento magico che riusciva a riprodurre il soffio leggero del vento e lo scroscio delle onde.
Balentia è anche questa, molto simile alla magia. Ben oltre i luoghi comuni.

Michela Serra [da Paraulas n. 3]

martedì 5 agosto 2008

Amália Rodrigues


« Quando morirò, voglio che la gente pianga per me. »

Nacque in una famiglia numerosa di poveri immigrati dalla regione della Beira Baixa nel quartiere operaio di Alcantara, in un imprecisato giorno del 1920, nella "stagione delle ciliegie". Il suo stato civile infatti riporta come data di nascita il 23 luglio, ma la cantante ha sempre festeggiato il proprio compleanno il 1° luglio
Fu allevata dai nonni materni e frequentò solo tre anni di scuola elementare, iniziando presto a lavorare come venditrice di arance, poi in una pasticceria di Lisbona. Intanto cantava da sola, sognando malinconicamente le storie che riusciva a vedere al cinema e modificando e rielaborando testi e musiche secondo la propria sensibilità. Poco a poco si fa notare per la sua voce in piccole manifestazioni locali alle quali prende parte facendosi chiamare col cognome della madre: Rebordão. A diciannove anni, con la complicità di una zia, riesce a farsi ascoltare dal proprietario di un famoso locale di Lisbona e comincia una straordinaria carriera che la porta quasi subito a livelli altissimi di notorietà e di cachet. Sposa immediatamente, contro il parere dei familiari, Francisco Cruz, un operaio che si dilettava con la chitarra e dal quale si separerà dopo tre anni (si risposerà, quindici anni dopo e per tutta la vita, con l'ingegnere brasiliano César Séabra che la precederà nella tomba di qualche anno) e diventa subito famosa come "Amália Rodrigues, a Alma do Fado". Entro un anno è già pagata venti volte di più che i maggiori artisti del momento ed è una vedette del teatro di rivista e perfino del cinema, ma per i primi sei anni della sua carriera non incide neppure un disco, per l'opposizione del suo agente che lo ritiene controproducente

Pur avendo inciso i suoi primi dischi a 78 giri solo nel 1945, gode già di una certa notorietà anche all'estero (Spagna, Italia, Brasile, Stati Uniti) quando il film "Les amants du Tage", di Henri Verneuil, le apre le porte del mitico teatro Olympia di Parigi, dove ottiene un trionfo che la consacra diva internazionale di prima grandezza. La sua popolarità in tutto il mondo è già immensa quando, nel 1960, si risposa e pensa di lasciare le scene. Dopo due anni, tuttavia, è già di ritorno con un repertorio nuovo, creato su misura dal geniale musicista franco-portoghese Alain Oulman che mette in musica per lei i testi dei migliori poeti portoghesi. Questa nuova fase della sua carriera la impone anche all'attenzione della critica e la consacra fra le grandi artiste di tutti i tempi. Al suo repertorio originario, composto quasi unicamente di Fado, aggiunge ben presto le canzoni popolari e folcloristiche, scatenando in tutta Europa il revival di questo genere.

La sua carriera durerà più di cinquanta anni, con centinaia di concerti in tutto il mondo ed almeno 170 LP pubblicati. Il pubblico internazionale è soggiogato dal fascino della sua voce e dall'espressività delle sue interpretazioni al punto da non aver neppure bisogno di capire la lingua portoghese per captarne il messaggio emotivo. Innumerevoli sono le persone che si accostano, per interesse verso di lei, alla lingua ed alla cultura portoghesi.

Alla metà degli anni settanta, la "Rivoluzione dei garofani" la prende a bersaglio e la discrimina duramente per esser stata, pur senza sua colpa, un simbolo del Portogallo di Salazar. Amália, praticamente esiliata, intensifica le tournées all'estero fino al momento in cui scopre di essere affetta da un tumore. Pur riabilitata - dopo dieci anni - dal nuovo governo socialista, dovrà rassegnarsi a lasciare il palcoscenico e vivrà i suoi ultimi anni in ritiro nella sua celebre casa di Rua S. Bento, a Lisbona, dove morirà la mattina del 6 ottobre 1999. Alla sua morte vengono proclamati tre giorni di lutto nazionale e i suoi funerali vedono la commossa partecipazione di decine di migliaia di persone. Attualmente riposa fra i grandi portoghesi di tutti i tempi nel Pantheon di Lisbona, ma lei avrebbe certamente preferito essere tumulata fra le rose del monastero dei Jéronimos, che tanto amava.

Amalia Rodrigues sarà per sempre conosciuta come la "Regina del fado". La sua inconfondibile voce si evolverà gradualmente dall'agile timbro cristallino della giovinezza, attraverso il recupero del colore speciale dei suoi suoni gravi, fino al timbro rugginoso, lacerato della tarda età, inconfondibilmente "suo" e incrinato da una ferita mai rimarginata: la malattia del vivere. Un suono remoto, metafisico, declinato dagli accordi della chitarra che scivola su melodie intrise di nostalgia: Tudo isto é fado, come titola una delle sue canzoni-manifesto: cioè tutto questo è fado. Un modo di vivere, l'espressione più autentica dello spirito lusitano. Il suo testamento spirituale è contenuto nelle parole della splendida "Cansaço", ma ancor più nei testi che lai stessa aveva composto, fin dai primissimi anni: emblematica la sua "Estranha Forma de Vida"; ma imperdibili anche "Ai, esta pena de mim", "Ai, as gentes; ai, a vida!", "Grito" e soprattutto "Lágrima", ormai divenuta un classico che tutti hanno cantato e canteranno. Non lascia eredi alla sua corona, sebbene tutte le cantanti degli ultimi decenni la abbiano imitata e nonostante i mass media tentino con monotona regolarità di attribuire a questa o a quella nuova voce l'etichetta di "erede di Amália". Nel 1929 lo scrittore portoghese Fernando Pessoa scriveva :
« Il fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell'anima forte, l'occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio cui ha creduto e che poi l'ha abbandonato: nel fado gli dei ritornano, legittimi e lontani... »
Amália diceva invece, più semplicemente, che il fado "è destino" (dal termine latino fatum, fato). Da qui il fatalismo, la melanconia e la saudade – una forma sublimata di nostalgia che fa emergere un sentimento "cosmico".
La radice ancestrale di questo sentimento Amalia lo descriveva così: Non sono io che canto il fado, è il fado che canta me.
Oltre al fado, Amalia ha prestato la sua voce anche alla musica italiana, intepretando brani moderni come La tramontana di Antoine, ma soprattutto la musica popolare come La bella Gigogin, inno del Risorgimento italiano, brani siciliani come Vitti 'na crozza e Ciuri ciuri e napoletani come La tarantella e i due splendidi duetti con Roberto Murolo, Dicitincello vuje e Anema e core.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Voglio chiudere con una riga della desdcrizione che ho trovato su wikipedia portogallo

Amália Rodrigues continuará viva enquanto permanecer no coração de todos quantos a admiram.