giovedì 23 agosto 2007

L'eteronimia in Fernado Pessoa

L'eteronimia

Se il Libro di Pessoa ha un centro, questo centro è l'eteronimia, come sostiene Antonio Tabucchi, suo appassionato traduttore, critico e studioso; e questi spiega bene questa peculiarità:
«Si immagini un Paese (il Portogallo) che vive per vent'anni (dal 1914 al 1935) un'età dell'oro della letteratura: poeti, saggisti, prosatori, dalle fisionomie inconfondibili e a volte incompatibili, tutti però di altissima qualità, vi operano insieme, si incontrano, si scontrano. Uno sperimentatore violento e straripante, suscitatore di avanguardie, come Álvaro De Campos, un desolato nichilista come Bernardo Soares, un poeta metafisico ed ermetico come Fernando Pessoa, un neoclassico come Ricardo Reis e, dietro a tutti, un maestro precocemente scomparso: Alberto Caeiro. Ebbene: tutti questi autori, tutte queste opere, tutti questi destini furono "una sola moltitudine", perché nascevano tutti dall'invenzione dissociata e proliferante di una sola persona, l'anagrafico Fernando Pessoa, oscuro impiegato di una ditta di Lisbona , dove aveva l'incarico di scrivere lettere commerciali in inglese. E quelli che abbiamo citato sono solo i più importanti fra gli scrittori "inventati" da Pessoa: finora i suoi manoscritti hanno rivelato tracce e frammenti di ventiquattro autori».
Tabucchi parla della produzione letteraria pessoana come di "un baule pieno di gente" perché ci ha lasciato «i suoi molteplici spiriti ben impachettati in fascicoli manoscritti tenuti con lo spago e contrassegnati da firme diverse».
E' lo stesso poeta ad analizzare con estrema lucidità la sua eteronimia e a descriverla all'amico Adolfo Casais Monteiro nel 1935 in una lettera. Una caratteristica che inizia nell'infanzia e che persiste per tutta la vita:

Ebbi sempre, da bambino, la necessità di aumentare il mondo con personalità fittizie, sogni miei rigorosamente costruiti, visionati con chiarezza fotografica, capiti fin dentro le loro anime. Non avevo più di cinque anni, e , bimbo isolato e non desideroso se non di stare così, già mi accompagnavano alcune figure del mio sogno, un capitano Thibeaut, Chevalier de Pas e altri che ho dimenticato […]. Ciò sembra la semplice immaginazione infantile che si diverte con l'attribuire vita a fantocci e a bambole. Era però qualcosa di più: io non avevo bisogno di bambole per concepire intensamente quelle figure. Chiare e visibili nel mio sogno costante, realtà esattamente umane per me, qualunque fantoccio, poiché irreale, le aveva sciupate. Erano gente.

…Questa tendenza non passo con l'infanzia, si sviluppò nell'adolescenza, si radicò con la crescita, divenne alla fine la forma naturale del mio spirito. Oggi ormai non ho personalità: quanto in me ci può essere di umano, l'ho diviso tra gli autori vari della cui opera sono stato l'esecutore.sono oggi il punto di riunione di una piccola umanità solo mia.

…E così mi sono fatto, e ho propagato, vari amici e conoscenti che non sono mai esistiti, ma che ancora oggi, a quasi trent'anni di distanza, io ascolto, sento, vedo. Ripeto: ascolto, sento, vedo…E ne ho nostalgia

Come che sia, l'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso.

L'eteronimia è la manifestazione del labirinto di Pessoa, del vortice in cui si sente avvolto e sente che ogni uomo è avvolto. «L'eteronimia non è altro che la vistosa traduzione in letteratura di tutti quegli uomini che un uomo intelligente e lucido sospetta di essere» scrive Tabucchi.

Dio non ha unità,
come potrei averla io?
(da "Episodi")

Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un 'unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti.
(da "Appunti sparsi")

L'eteronimia è anche patologa e insieme terapia della solitudine che l'introspezione causa: l'Io esclude l'oggetto, il soggetto diventa oggetto di se stesso, distinguendosi e distanziandosi così da se stesso.

Mi sono moltiplicato per sentire,
per sentirmi, ho dovuto sentire tutto,
sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,
e in ogni angolo della mia anima c'è un altare a un dio differente.
( da "Passaggio delle ore"- Poesie di Álvaro de Campos )

Ma l'eteronimia è anche qualcos'altro: è un tentativo di superare l'unicità dell'essere e la finitezza dell'uomo, è l'espressione della consapevolezza che la vita non basta, è un vago e inquietante interrogativo: se possono esserci più di una vita in una sola vita, se sono davvero il tempo e lo spazio che ci segmentano o se siamo noi che crediamo sia così, mentre forse esiste solo l'hic e il nunc, la persona nell'Istante, diversa da quella esistita nel momento prima, diversa da quella che esisterà nel momento dopo. Così Pessoa afferma una frastornante "verità":

Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso.
( da "Il libro dell'Inquietudine" )

Vengono ora presentate le figure eteronimiche maggiori, che compongono l'universo di Pessoa, ognuno dei quali è a sua volta un singolare mondo, con un proprio stile, un proprio modo di dibattere i grossi temi del pensiero e della poesia di Pessoa:

  • Alberto Caeiro: Alberto Caeiro da Silva, maestro di Fernando Pessoa e di Álvaro de Campos, morì precocemente di tubercolosi. Descritto come uomo biondo, pallido, con gli occhi azzurri, di media statura. In campagna scrisse l'intera sua opera, dai poemetti del "Guardador de Rebanhos" al breve diario del "Pastor Amoroso", e a Lisbona, dov'era nato, tornato solo per morire, scrisse le ultime poesie della raccolta "Poemas Inconjunctos". Tabucchi lo definisce «il fenomenologo, l'Occhio, l'olimpica e insieme tenebrosa ricognizione del mondo».
  • Álvaro de Campos: ingegnere navale, alto, coi capelli neri e lisci divisi da un lato, col monocolo, elegante e leggermente snob, tediato, ozioso e meditativo. Partì da un'estrema esperienza decadente per diventare poi a un tratto un esacerbato, geniale sperimentatore, maestro di ogni avanguardia. Ma la sua poesia conosce, dopo le fiammate avanguardiste, un curioso percorso: un'autoriflessività che lo lega alle esperienze contemporanee, un nichilismo doloroso e cinico. Così Tabucchi lo descrive: «il rovello gnoseologico, l'uomo che cerca "l'anello che non tiene" e che si arrende alla terribile "plausibilità" del reale».
  • Ricardo Reis: nato a Oporto, medico, ma senza mai esercitare la professione, materialista e sensista, imbevuto di classicismo e di ellenismo. Così scrive di lui Tabucchi: «Il monarchico in esilio è, col suo bizzarro neoclassicismo, l'ironica accettazione di un mondo incomprensibile e immutabile».