lunedì 3 ottobre 2011

Gli ho detto

Ieri sera ho dato il latte "della buona notte" a Marco.
Non lo faccio quasi mai, normalmente è una cosa che fa Daniela.
Lo guardo mentre beve, assorto nei suoi pensieri di bambino di due anni e mezzo.
E così gli detto: quel cappello che ti ho regalato oggi (un Bonnette, il cappello tipico sardo denominato anche impropriamente Berritta) lo devi tenere bene, e lo devi portare via con te il giorno che lascerai questa casa.
E lo darai a tuo figlio, lo farai portare anche a lui, magari solo qualche volta, ma fallo.

Perché è importante.
No, non è solo importante.
E' anche bello.
E' un bel cappello fatto da un artigiano Sardo.
Ed in quel cappello bello c'è la perizia dell'artigiano che l'ha cucito, c'è la tradizione di chi lo ha tramandato, c'è il senso d'appartenenza di chi lo porta. E se sarà fuori moda (lo è anche oggi, se è per quello) questo è un motivo in più per farlo portare.

Perché quel cappello è un simbolo, oltre che un bel cappello. E' il simbolo di quella parte più interna del posto dove sei nato.
Quel cappello è l'albero più bello a cui non è mai stato spezzato un ramo, l'acqua di quel fiume che non è stato inquinato o di quel mare che non vede barche solcarlo.
Quel cappello, Marco, è la voce del padre del padre di tuo padre e di quello di tua madre, la voce di di quelli che erano qui prima di loro, della lingua che parlavano e delle cose che pensavano, belle e brutte.
Quel cappello è perciò non solo bello, ma importante. E quando tuo figlio, che sarà per te almeno bello quanto tu non lo sei per me, lo porterà con un misto di fastidio e curiosità, allora tu sorridigli.

Sorridigli come sorrideresti vedendo quell'albero, quel fiume, quel mare.
Perché quel cappello sei tu, sono io, sarà tuo figlio.