sabato 18 giugno 2011

Pregai

Stamattina presto sono andato al parchetto di fronte a casa. La missione era semplice: staccare definitivamente tutti i faretti che i vandali hanno divelto e lasciato sul terreno con la corrente elettrica ancora attaccata.
Si trattava di tagliare fili, isolarli, portare i paletti tutti in un unico posto, eliminare cocci di lampadine. Un lavoro palloso ma tutto sommato poco impegnativo. Un'oretta al massimo.

Lavoro nel silenzio, il sole del mattino presto (non erano neppure le 7) è già luninoso, ed il verde del prato bagnato è particolarmente piacevole con quella luce. Pare brilli di luce propria.

Io non sopporto l'ignoranza, oggi. 30-50 anni fa si poteva tollerare, oggi no. Chi non sa che spaccando qualcosa di pubblico compie un atto contro gli altri, perchè gli altri sono il "pubblico" è un coglione, non un ignorante.

Lavoro nel silenzio, con metodo. Ordino i paletti divelti che ho definitivamente staccato dalla rete elettrica in ordine. Pensavo di farlo da diverso tempo, ma stamattina come ho visto che ero ben sveglio ma che era presto non ho avuto incertezze. Dovevo farlo.

Io non sopporto chi fa spallucce, chi dice "eh, si sa chi sono" ma poi non fa niente. Diverse volte ho cazziato ragazzini  e meno ragazzini (alti più di me, per intenderci) che davano quei calcetti un pò di noia un po' di "ho voglia di rompere qualcosa". Tutti tacciono. No, non mi temono fisicamente, mi manca la phisique du role. Temono quello che dico e la maniera con cui lo faccio. Sanno che ho ragione e sanno che non ci metterei un attimo a passare alle vie di fatto. Ed in fondo è meglio non rischiare.

Lavoro rapido, in testa ho la mappa dei paletti da togliere, o di quelli in cui la plafoniera è stata fatta a pezzi e rimare un triste moncone rotto. C'è qualocosa di caritatevole nel tagliare i fili, isolarli, prendere quel paletto e metterlo da una parte. Mi sento bene. Sto facendo la cosa guista.

Io non sopporto chi disprezza il posto dove è nato. Chi cambia il suo accento quando il traghetto non vede più Tavolara. Io sono orgoglioso del posto dove sono nato, lasciare ai miei figli la natura come l'ho trovata è un mio dovere. Educarli all'amore per l'ambiente è una mia responsabilità.

Lavoro preciso, mantre il parchetto si comincia ad animare ed il solito portatore sano di cane cagatore si ferma per lamentarsi anche lui "che è una vergona". Parlo il minimo indispensabile, non mi voglio distrarre e voglio tornare a casa prima che si sveglino.

Io lo so che se tutti la pensassero come me forse sarebbe una noia. Ma la Sardegna sarebbe ancora più bella di come è. Poitta no si'nd'acattaus nimmancu de sa fortuna manna chi emmus tenniu de nasci innoi, e tottu si pariri facili, deppiu.

Trabballu acabau. Seu cuntentu e prexiau in su propriu tempu. Appu fattu su chi deppemmu, su chi bolemmu. Appu fattu custu traballeddu in d'una manera cittìa, precisa e rapida chi paremmu unu medicu. Sciemmu su chi si deppia fai e dappu fattu in d'una moda perfetta. Segammu cavus chi paremmu unu chirurgu. Pigammu palitteddus chi paremmu unu preri candu accabbussa su picciccu innanti a sa fonti de su battesimu.

Torru in domu. M'intendiu stranu. Paria chi femmu stessiu in d'unu logu differenti de cussu parchettu, paria chi femmu in cresia. A pregai.

2 commenti:

marcio ha detto...

braccia rubate alla poesia...

Marzia ha detto...

Ciao Andrea,mi chiamo Marzia....ti ho scoperto per caso e mi piace molto quello che scrivi e che pubblichi....posso ''rubarti'' il materiale e pubblicarlo su facebook?....