Venerdì notte sono andato alla festa di IRS. I concerti di Marino Derosas e Cordas e Cannas erano bellissimi. La gente era poca, eterogenea ma l'aria che si respirava era festosa. Ho rimpianto di non aver portato con me Daniela ed i piccoli (la grande suppongo mi avrebbe chiesto 100 euro per venire ad una cosa del genere). Una cosa buona va condivisa.
Lo so che l'indipendenza della Sardegna è come chiedere al Cagliari di vincere un altro scudetto. Lo so che più passa il tempo più siamo invischiati da questa italianità farlocca, abituandoci giorno dopo giorno ad un normale che è illegale, a non doverci più sorprendere nè indignare.
Perchè vale tutto.
Basta che sia nuovo, simpatico e ci faccia ridere.
Basta che ci faccia dimenticare che le cose vanno sempre peggio, che siamo volenti o nolenti parte di questa nazione più grande che ci trova bizzarri nella migliore delle ipotesi.
Eppure, come ho già fatto altre volte, mi voglio ripetere quanto c'è scritto nel parco delle rimembranze di Dublino, sulla stele che commemora la loro indipendenza
In the darkness of despair we saw a vision,
We lit the light of hope and it was not extinguished.
In the desert of discouragement we saw a vision.
We planted the tree of valour and it blossomed.
In the winter of bondage we saw a vision.
We melted the snow of lethargy and the river of resurrection flowed from it.
We sent our vision aswim like a swan on the river. The vision became a reality.
Winter became summer. Bondage became freedom and this we left to you as your inheritance.
O generations of freedom remember us, the generations of the vision.
Si, forse la mia è solo una visione, un sogno. Ma preferisco credere ad un sogno che rassegnarmi ad una bugia.